Il ritorno di Berlusconi
http://video.corriere.it/littizzetto-berlusconi-ha-rotto-c/6f1cfe32-42a4-11e2-af33-9cafd633849d
Il Blog di Gianni Orlandi
lunedì, dicembre 10, 2012
venerdì, dicembre 07, 2012
Invece di preoccuparsi della scuola pubblica che sta morendo il ministro Profumo pensa al finanziamento della scuola privata
http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/12/07/maria-mantello-profumo-ministro-della-scuola-privata/
http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/12/07/maria-mantello-profumo-ministro-della-scuola-privata/
MARIA MANTELLO – Profumo, ministro della scuola privata?
Ma lo avete visto il Ministro dell’istruzione a Che tempo che fa? Ricordava l’eterno fuori posto del celebre personaggio di Carosello che ripeteva sempre: «Mi no so, mi so foresto. Par mì tuto va ben, tuto fa brodo». Tranne in un punto, difendere i finanziamenti alle private.
Lui che – preoccupato dalla montante mobilitazione della scuola statale contro il famigerato ddl Aprea (smantellerà la scuola statale appaltandola a lobby ideologico-mercatiste) e l’aumento del 33% di’orario di cattedra – il 22 novembre aveva scritto sul portale del MIUR una lettera a insegnanti e studenti per spiegare che l’Aprea non era affar suo: «tale proposta è stata formulata e discussa in piena autonomia dal Parlamento, con la partecipazione di tutte le forze politiche. Dunque non c’è alcuna diretta responsabilità del Governo». E «sulla vicenda dell’orario dei docenti» infilata a sorpresa nella legge di stabilità, aveva scritto nella stessa missiva che il governo aveva «sondato e tastato il polso», e vista la reazione negativa si era preoccupato finanche di fare un salto in Parlamento per «dare parere favorevole… all’emendamento soppressivo della proposta di innalzamento dell’orario settimanale dei docenti».
Adesso nel salotto di Fazio, che lo aveva invitato lunedì 3 dicembre a porre un qualche rimedio alle indecenti parole di Monti (la settimana prima aveva detto che i professori sono “corporativi, conservatori, sobillatori …” ), continuava a recitare il ruolo del fuori-luogo: il governo taglia, ma che può farci lui. Anzi a lui gli insegnanti stanno pure simpatici: «sono persone di grande valore, che fanno il loro lavoro con grande passione… il primo elemento è il rispetto della figura del docente… forma nuove generazioni… bisogna ricreare la stima nella figura del docente (blablabla….).
«Gli insegnati sono trattati male» gli suggerisce Fazio, e Profumo ripete «sono trattati male da troppi anni e questo probabilmente è il problema vero… »
È talmente vero il problema che subito si smarca: «Io credo che ci voglia un programma pluriennale che analizzi tutti i problemi della scuola e provi a risolverli con cadenze volute…(bla abla bla..).
L’altro ospite della serata è il professor Salvatore Settis, che pone con forza il ruolo fondamentale della scuola statale e dei suoi insegnanti: «Occorre restituire agli insegnanti il senso immediato dell’altissima dignità del lavoro che fanno. Sono persone che lavorano moltissimo… E bisogna ricordarsi di questo …Dignità che si esprime non solo nello stipendio, ma nel riconoscimento sociale». La scuola, dice, è un «organo costituzionale come affermava Calamandrei». E denuncia le politiche di disinvestimento: «L’Italia spende poco per la scuola, l’università e la ricerca. .. i paesi nel tempo della crisi aumentano gli investimenti… » cita la Francia, la Germania, gli Stati Uniti. Ma sul ministro del governo del ce-lo-chiede-l’Europa la sollecitazione scivola via. Non raccoglie e riattacca con i «programmi… da fare nel tempo… con scadenze… (blablabla….). Certo, ammette «la scuola è stanca e qualche piccolo segnale in negativo è amplificato…». Che la scuola sia stanca è fin troppo evidente, ma che gli interventi su di essa siano un “piccolo segnale in negativo” è inaccettabile riduzionismo.
Ma Settis incalza: «Esiste un orizzonte di diritti» e Costituzione alla mano gli ricorda come si chiamano: «diritto allo studio, alla salute, al lavoro…».
E aggiunge: «Oggi vogliamo rispettare la Costituzione. E vogliamo che la rispettino soprattutto coloro che giurano su di essa»; «Esiste il diritto alla scuola pubblica, art.33 che dice che le scuole private devono essere senza oneri per lo Stato, articolo quotidianamente violato anche da chi ha giurato fedeltà alla Costituzione».
Parte un calorosissimo applauso del pubblico, un fuori programma evidentemente, perché Fazio cerca di bloccarlo con un « non perdiamo tempo!».
Il ministro incamera ma tace, e Settis continua, «il diritto al lavoro, l’art. 4 è il più tradito… cosa diciamo ai giovani?». Si deve dare anche le risposte: «ma noi dobbiamo spendere per la Tav, per autostrade inutili, per danneggiare il paesaggio». Riprova a domandare «E per la scuola no?»
Profumo cerca di placarlo dandogli ragione, ma poi peggio di un’anguilla: «dobbiamo recuperare risorse.. riavviare il processo, attuare un programma pluriennale… (blablabla….). I partiti dicano il loro programma per scuola università, ricerca…». Insomma io son di passaggio, che volete da me…
Fazio però lo costringe a rispondere almeno sulla questione dei finanziamenti alle private. Non mancando di dichiarare la sua scelta di campo: «i miei figli vanno in una scuola privata!», ma per par condicio aggiunge: «ma me la pago e non chiedo niente a nessuno!».
Il ministro che non si era smosso alla sollecitazione di prima del prof. Settis: «Esiste il diritto alla scuola pubblica, art.33 che dice che le scuole private devono essere senza oneri per lo Stato, articolo quotidianamente violato anche da chi ha giurato fedeltà alla Costituzione», adesso non può eludere la risposta. È il conduttore a chiedergli di pronunciarsi su quel tradimento dell’art. 33 della Costituzione. Un tradimento che il governo della spending review ha incrementato con un’aggiunta di 223 milioni, portando così la cifra totale a ben 551 milioni.
E messo alle strette, ha quasi un leggero guizzo di soddisfazione nell’esibirsi nel tentativo abusato già dai suoi predecessori di mescolare le carte per far apparire private anche le comunali: «nella scuola paritaria – afferma – ci sono le scuole religiose, le comunali, scuole diverse… con sincerità se noi non avessimo le scuole comunali che coprono probabilmente l’80% della scuola dell’infanzia come potremmo fare?». Peccato che si dimentichi di specificare che le comunali, sono strutture territoriali dello stato italiano! Peccato che non specifichi che esse sono comunque il 18,5% del totale. Quindi la parte del leone (81,5%) è delle private che – è bene tenerlo presente – sono in stragrande maggioranza cattoliche. Allora ci si dovrebbe anche chiedere chi è avvantaggiato ideologicamente ed economicamente dal fatto che lo Stato non istituisca scuole d’infanzia, contrariamente a quanto stabilisce l’art. 33 della Costituzione che gli impone di farlo.
(7 dicembre 2012)
Lui che – preoccupato dalla montante mobilitazione della scuola statale contro il famigerato ddl Aprea (smantellerà la scuola statale appaltandola a lobby ideologico-mercatiste) e l’aumento del 33% di’orario di cattedra – il 22 novembre aveva scritto sul portale del MIUR una lettera a insegnanti e studenti per spiegare che l’Aprea non era affar suo: «tale proposta è stata formulata e discussa in piena autonomia dal Parlamento, con la partecipazione di tutte le forze politiche. Dunque non c’è alcuna diretta responsabilità del Governo». E «sulla vicenda dell’orario dei docenti» infilata a sorpresa nella legge di stabilità, aveva scritto nella stessa missiva che il governo aveva «sondato e tastato il polso», e vista la reazione negativa si era preoccupato finanche di fare un salto in Parlamento per «dare parere favorevole… all’emendamento soppressivo della proposta di innalzamento dell’orario settimanale dei docenti».
Adesso nel salotto di Fazio, che lo aveva invitato lunedì 3 dicembre a porre un qualche rimedio alle indecenti parole di Monti (la settimana prima aveva detto che i professori sono “corporativi, conservatori, sobillatori …” ), continuava a recitare il ruolo del fuori-luogo: il governo taglia, ma che può farci lui. Anzi a lui gli insegnanti stanno pure simpatici: «sono persone di grande valore, che fanno il loro lavoro con grande passione… il primo elemento è il rispetto della figura del docente… forma nuove generazioni… bisogna ricreare la stima nella figura del docente (blablabla….).
«Gli insegnati sono trattati male» gli suggerisce Fazio, e Profumo ripete «sono trattati male da troppi anni e questo probabilmente è il problema vero… »
È talmente vero il problema che subito si smarca: «Io credo che ci voglia un programma pluriennale che analizzi tutti i problemi della scuola e provi a risolverli con cadenze volute…(bla abla bla..).
L’altro ospite della serata è il professor Salvatore Settis, che pone con forza il ruolo fondamentale della scuola statale e dei suoi insegnanti: «Occorre restituire agli insegnanti il senso immediato dell’altissima dignità del lavoro che fanno. Sono persone che lavorano moltissimo… E bisogna ricordarsi di questo …Dignità che si esprime non solo nello stipendio, ma nel riconoscimento sociale». La scuola, dice, è un «organo costituzionale come affermava Calamandrei». E denuncia le politiche di disinvestimento: «L’Italia spende poco per la scuola, l’università e la ricerca. .. i paesi nel tempo della crisi aumentano gli investimenti… » cita la Francia, la Germania, gli Stati Uniti. Ma sul ministro del governo del ce-lo-chiede-l’Europa la sollecitazione scivola via. Non raccoglie e riattacca con i «programmi… da fare nel tempo… con scadenze… (blablabla….). Certo, ammette «la scuola è stanca e qualche piccolo segnale in negativo è amplificato…». Che la scuola sia stanca è fin troppo evidente, ma che gli interventi su di essa siano un “piccolo segnale in negativo” è inaccettabile riduzionismo.
Ma Settis incalza: «Esiste un orizzonte di diritti» e Costituzione alla mano gli ricorda come si chiamano: «diritto allo studio, alla salute, al lavoro…».
E aggiunge: «Oggi vogliamo rispettare la Costituzione. E vogliamo che la rispettino soprattutto coloro che giurano su di essa»; «Esiste il diritto alla scuola pubblica, art.33 che dice che le scuole private devono essere senza oneri per lo Stato, articolo quotidianamente violato anche da chi ha giurato fedeltà alla Costituzione».
Parte un calorosissimo applauso del pubblico, un fuori programma evidentemente, perché Fazio cerca di bloccarlo con un « non perdiamo tempo!».
Il ministro incamera ma tace, e Settis continua, «il diritto al lavoro, l’art. 4 è il più tradito… cosa diciamo ai giovani?». Si deve dare anche le risposte: «ma noi dobbiamo spendere per la Tav, per autostrade inutili, per danneggiare il paesaggio». Riprova a domandare «E per la scuola no?»
Profumo cerca di placarlo dandogli ragione, ma poi peggio di un’anguilla: «dobbiamo recuperare risorse.. riavviare il processo, attuare un programma pluriennale… (blablabla….). I partiti dicano il loro programma per scuola università, ricerca…». Insomma io son di passaggio, che volete da me…
Fazio però lo costringe a rispondere almeno sulla questione dei finanziamenti alle private. Non mancando di dichiarare la sua scelta di campo: «i miei figli vanno in una scuola privata!», ma per par condicio aggiunge: «ma me la pago e non chiedo niente a nessuno!».
Il ministro che non si era smosso alla sollecitazione di prima del prof. Settis: «Esiste il diritto alla scuola pubblica, art.33 che dice che le scuole private devono essere senza oneri per lo Stato, articolo quotidianamente violato anche da chi ha giurato fedeltà alla Costituzione», adesso non può eludere la risposta. È il conduttore a chiedergli di pronunciarsi su quel tradimento dell’art. 33 della Costituzione. Un tradimento che il governo della spending review ha incrementato con un’aggiunta di 223 milioni, portando così la cifra totale a ben 551 milioni.
E messo alle strette, ha quasi un leggero guizzo di soddisfazione nell’esibirsi nel tentativo abusato già dai suoi predecessori di mescolare le carte per far apparire private anche le comunali: «nella scuola paritaria – afferma – ci sono le scuole religiose, le comunali, scuole diverse… con sincerità se noi non avessimo le scuole comunali che coprono probabilmente l’80% della scuola dell’infanzia come potremmo fare?». Peccato che si dimentichi di specificare che le comunali, sono strutture territoriali dello stato italiano! Peccato che non specifichi che esse sono comunque il 18,5% del totale. Quindi la parte del leone (81,5%) è delle private che – è bene tenerlo presente – sono in stragrande maggioranza cattoliche. Allora ci si dovrebbe anche chiedere chi è avvantaggiato ideologicamente ed economicamente dal fatto che lo Stato non istituisca scuole d’infanzia, contrariamente a quanto stabilisce l’art. 33 della Costituzione che gli impone di farlo.
(7 dicembre 2012)
venerdì, agosto 10, 2012
Mio articolo su
Il Fatto Quotidiano
8 agosto 2012
di Gianni Orlandi*
Sono convinto che una seria
politica di spending review
che punti a ridurre
spese improduttive e sprechi
sia utile e necessaria per recuperare
risorse e dare ai cittadini
un segnale di responsabilità
del sistema. Non condivido,
però, la ra t i o del provvedimento
sull’aumento delle tasse
per i fuori corso delle nostre
università, che ritengo inutile e
iniquo. Inutile, perché spingerebbe
molti fuori corso a non
iscriversi più e, pertanto, non si
conseguirebbe alcuna delle risorse
aggiuntive che ci si aspetta,
tant’è che si è data la facoltà
agli atenei di aumentare le tasse
per tutti. Gli studenti fuori corso
non frequentano le lezioni e
i laboratori, quindi, costano
nulla o quasi all’ateneo; di contro
con le loro tasse di iscrizione
finanziano il sistema universitario
a favore degli altri studenti.
Paradossalmente, possono
essere considerati – come
affermava anni fa un vecchio
Rettore della Sapienza – “soste -
nitori” del sistema e, se non ci
fossero, si determinerebbe una
riduzione significativa di risorse
per le università. Iniquo, perché
colpisce studenti più o meno
giovani che, spesso, non sono
“fa n nu l l o n i ”, ma hanno incontrato
durante il periodo degli
studi difficoltà di vario genere,
quali, non da ultimo, la necessità
di mantenersi con un lavoro,
in genere precario.
UN’OBIEZIONE dei favorevoli
al provvedimento è che gli
studenti lavoratori non saranno
penalizzati, ma non è realistica.
Come certificare, infatti, lo stato
di lavoratore? Nel paese in cui
trionfa l’evasione fiscale, fin
troppo di frequente il lavoro è in
nero, colpendo proprio i giovani.
Del pari, l’aumento della tassazione
in funzione del reddito
familiare, rischia ancora una
volta di penalizzare chi le tasse
le paga, premiando gli evasori
nel campo dell’accesso all’istr uzione
che dovrebbe costituire
un diritto protetto da ben altre
tutele. Ma al di là di tutto ciò, si
impongono altre considerazioni
che si misurano con lo stato
attuale del paese. Nell’era drammatica
della disoccupazione
giovanile crescente, il permanere
iscritti all’università, anche
oltre gli anni di corso, rappresenta
inevitabilmente una sorta
di ammortizzatore psicologico
per tanti giovani, loro sì “sfiga -
ti”, ai quali il mercato del lavoro
non ha niente da offrire. Ed è un
modo per molti di mantenere
un cordone ombelicale, anche
se tenue, con il sogno di raggiungere
un domani l’a gognata
laurea. Né è politica intelligente
scoraggiare queste aspettative,
se si considera che in Italia il numero
dei laureati, nonostante la
riforma del 3 più 2, rimane
drammaticamente basso.
PIÙ IN GENERALE, il provvedimento,
pur se riferito a un
aspetto specifico, tradisce una
visione limitata e limitante che
non colloca la crescita della conoscenza,
concepita sia come
conoscenza degli individui che
della società nel suo complesso,
nel rango di massima priorità
per un serio sviluppo economico
e sociale e per una seria politica
di competitività nel mondo
globale. Secondo quest’ulti -
mo approccio ogni aspirazione
ad accrescere il bagaglio di conoscenze
e di competenze, sia
da parte di giovani, che di individui
più maturi e persino anziani,
va protetto e forse, anche assistito.
Si alimenta così il paese
dei talenti e della creatività.
Guai a considerare queste caratteristiche
tratto genetico degli
italiani, dato per scontato, come
molti commentatori improvvidamente
ripetono. Insomma
è opportuno e urgente
cambiare la legge. Ci sono altri
modi per ridurre gli sprechi nell’università.
Si abbia il coraggio,
per esempio, di chiudere le decine
di sedi periferiche, spesso
inutili e ridondanti, volute dai
notabili locali solo per fini elettorali.
Si risparmierebbero i costi
di gestione, a partire da quelli
per gli affitti delle sedi, e si guadagnerebbe
in qualità. Il risparmio
di risorse potrebbe essere
destinato a sostenere un vero diritto
a studiare per molti giovani
meritevoli. Ma, questo, forse,
non si farà mai per non disturbare
gli interessi di piccole o
grandi caste locali. È più semplice
colpire la massa anonima dei
fuori corso che non interessa a
nessuno. Sinceramente, mi sarei
aspettato di meglio da un governo
di “professor i” che hanno,
o avrebbero dovuto avere,
una ben maggiore sensibilità
per i temi della formazione e
della conoscenza, o almeno una
maggiore consapevolezza del
valore sociale della crescita culturale
degli individui.
*Direttore del Dipartimento di
Ingegneria dell'Informazione,
Elettronica e Telecomunicazioni
all’Università di Roma “La
Sapienza”
L’aumento delle
tasse universitarie
per chi tarda a
laurearsi è ingiusto:
spesso si tratta
di ragazzi che loro
malgrado lavorano
in nero e non ha
alcun senso far
pagare gli sprechi
pubblici a chi studia
sabato, marzo 17, 2012
giovedì, marzo 08, 2012
La poesiaIl Pci ai giovani!!, di Pier Paolo Pasolini
È triste. La polemica contro
il PCI andava fatta nella prima metà
del decennio passato. Siete in ritardo, figli.
E non ha nessuna importanza se allora non eravate ancora nati...
Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi
quelli delle televisioni)
vi leccano (come credo ancora si dica nel linguaggio
delle Università) il culo. Io no, amici.
Avete facce di figli di papà.
Buona razza non mente.
Avete lo stesso occhio cattivo.
Siete paurosi, incerti, disperati
(benissimo) ma sapete anche come essere
prepotenti, ricattatori e sicuri:
prerogative piccoloborghesi, amici.
Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte
coi poliziotti,
io simpatizzavo coi poliziotti!
Perché i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da periferie, contadine o urbane che siano.
Quanto a me, conosco assai bene
il loro modo di esser stati bambini e ragazzi,
le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,
a causa della miseria, che non dà autorità.
La madre incallita come un facchino, o tenera,
per qualche malattia, come un uccellino;
i tanti fratelli, la casupola
tra gli orti con la salvia rossa (in terreni
altrui, lottizzati); i bassi
sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi
caseggiati popolari, ecc. ecc.
E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci,
con quella stoffa ruvida che puzza di rancio
fureria e popolo. Peggio di tutto, naturalmente,
e lo stato psicologico cui sono ridotti
(per una quarantina di mille lire al mese):
senza più sorriso,
senza più amicizia col mondo,
separati,
esclusi (in una esclusione che non ha uguali);
umiliati dalla perdita della qualità di uomini
per quella di poliziotti (l'essere odiati fa odiare).
Hanno vent'anni, la vostra età, cari e care.
Siamo ovviamente d'accordo contro l'istituzione della polizia.
Ma prendetevela contro la Magistratura, e vedrete!
I ragazzi poliziotti
che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione
risorgimentale)
di figli di papà, avete bastonato,
appartengono all'altra classe sociale.
A Valle Giulia, ieri, si è cosi avuto un frammento
di lotta di classe: e voi, amici (benché dalla parte
della ragione) eravate i ricchi,
mentre i poliziotti (che erano dalla parte
del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque,
la vostra! In questi casi,
ai poliziotti si danno i fiori, amici.
[...]
Pier Paolo Pasolini
lunedì, febbraio 13, 2012
Università: se per i laureati «3+2» fa 6,5
13 febbraio 2012
Il Sole 24ORE
Ma quanto fa 3 + 2 ? Il dibattito scaturito dall'affermazione colorita del viceministro Martone («Laurearsi dopo i 28 anni è da sfigati») ha assunto i toni classici del confronto para-ideologico evitando accuratamente il "principio di realtà". Il problema della durata degli studi interseca direttamente quello della occupazione giovanile che è oggi un problema anche dell'Università.
L'attività di "placement" si è infatti andata ad aggiungere alle mansioni storiche dell'Università, la formazione e la ricerca, e a quella più recente del "fund raising" indispensabile per sostenerla. Se così è, allora qualche domanda in più sui temi (scomodi) delle scelte degli studenti e della durata degli studi dovremo pure cominciare a porcela.
Lasciamo da parte, per ora, la domanda più difficile: quella del "cosa studiare?". Difficile perché la risposta è nell'ambito delle scelte individuali, delle attitudini, e delle speranze (ma una società colta e organizzata qualche indirizzo dovrebbe fornirlo...) e perché, oggettivamente, viviamo un'epoca di cambiamenti esponenziali che rendono difficile sapere quale formazione specifica servirà tra cinque anni, in che lingua, e per essere esercitata dove. Un problema enorme che dovrebbe portarci a riflettere sui contenuti della formazione, e sulla "durata" delle conoscenze che impartiamo.
domenica, gennaio 29, 2012
PERCHÉ CANCELLARE IL VALORE LEGALE DELLA LAUREA
di Pietro Manzini 27.01.2012
Il valore legale del titolo di studio fa sì che ogni laurea conferita da una qualsiasi delle ottanta università italiane abbia lo stesso peso nel mercato degli impieghi pubblici. Così gli atenei hanno scarsi incentivi a scegliere docenti preparati; i laureati bravi sono intercettati dal settore privato; le risorse delle famiglie premiano i servizi formativi scadenti. Problemi che si potrebbero superare se l'amministrazione pubblica valutasse le lauree sulla base di un ranking delle università di provenienza dei candidati. Come vorrebbe una proposta in discussione nel governo.
Nel governo Monti si sta discutendo una riforma dell’università che potrebbe avere effetti assai più rilevanti di tutte quelle succedutesi negli ultimi venti anni. Quattro sarebbero le questioni in discussione:
- eliminazione del vincolo del tipo di studio per l’accesso ai concorsi pubblici
- eliminazione del valore del voto di laurea nei concorsi pubblici
- valutazione differenziata della laurea a seconda della qualità della facoltà/università di provenienza
- eliminazione o riduzione del peso della laurea nei concorsi pubblici
LE PROPOSTE
La prima proposta è positiva perché ammettere ai concorsi per la dirigenza pubblica lauree in storia, o arte o lettere, eccetera, accanto alle tradizionali di giurisprudenza, scienze politiche o economia consente di immettere saperi utili e diversificati che arricchirebbero il sistema pubblico. La riforma però non potrebbe coinvolgere l’accesso a professioni per le quali uno specifico sapere tecnico è imprescindibile, come ad esempio quelle di ingegnere, medico o avvocato, che richiedono lauree non fungibili con altre.
La seconda, diretta ad eliminare il valore del voto di laurea nei concorsi pubblici, non convince interamente. Per un verso, curerebbe il vizio di alcuni atenei o facoltà di valutare generosamente i propri studenti, “regalando” voti alti e lodi non corrispondenti alla effettiva preparazione. Tuttavia, l’eliminazione del valore del voto rischia di disincentivare gli studenti a migliorare la loro preparazione: se non c’è differenza tra 90/110 e 110/110 perché sforzarsi di raggiungere l’eccellenza? E cancella un dato, forse non sempre preciso, ma utile per il possibile datore di lavoro: una laurea presa con 90/110 e una con 110/110 segnalano una differenza netta di preparazione degli studenti interessati, in qualunque università.
La terza proposta, che consiste nel “pesare” in maniera diversa le lauree a seconda dell’università/facoltà di provenienza, è quella che promette i mutamenti più radicali e positivi.
- eliminazione del vincolo del tipo di studio per l’accesso ai concorsi pubblici
- eliminazione del valore del voto di laurea nei concorsi pubblici
- valutazione differenziata della laurea a seconda della qualità della facoltà/università di provenienza
- eliminazione o riduzione del peso della laurea nei concorsi pubblici
LE PROPOSTE
La prima proposta è positiva perché ammettere ai concorsi per la dirigenza pubblica lauree in storia, o arte o lettere, eccetera, accanto alle tradizionali di giurisprudenza, scienze politiche o economia consente di immettere saperi utili e diversificati che arricchirebbero il sistema pubblico. La riforma però non potrebbe coinvolgere l’accesso a professioni per le quali uno specifico sapere tecnico è imprescindibile, come ad esempio quelle di ingegnere, medico o avvocato, che richiedono lauree non fungibili con altre.
La seconda, diretta ad eliminare il valore del voto di laurea nei concorsi pubblici, non convince interamente. Per un verso, curerebbe il vizio di alcuni atenei o facoltà di valutare generosamente i propri studenti, “regalando” voti alti e lodi non corrispondenti alla effettiva preparazione. Tuttavia, l’eliminazione del valore del voto rischia di disincentivare gli studenti a migliorare la loro preparazione: se non c’è differenza tra 90/110 e 110/110 perché sforzarsi di raggiungere l’eccellenza? E cancella un dato, forse non sempre preciso, ma utile per il possibile datore di lavoro: una laurea presa con 90/110 e una con 110/110 segnalano una differenza netta di preparazione degli studenti interessati, in qualunque università.
La terza proposta, che consiste nel “pesare” in maniera diversa le lauree a seconda dell’università/facoltà di provenienza, è quella che promette i mutamenti più radicali e positivi.
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