domenica, giugno 10, 2007

Venerdì 8 giugno ho moderato una interessante tavola rotonda sul tema “Innovazione e Nuova Economia” con Dale Kutnick, Senior Vice President Gartner, e altri rappresentanti di importanti imprese dell'ICT, che si è svolta al Festival dell’Innovazione dell’Ara Pacis di Roma.
Hanno partecipato ai lavori:
Dale Kutnick - Senior Vice President Gartner
Andrea Salvati, Industry Leader Finance e BIM (Business Industrial Market) di Google,
Andrea Valboni, National Technology Officer Microsoft Italia,
Antonello Martini, Direttore Tecnico Cape Reply
Fabio Massimo Ginnetti, Responsabile relazioni istituzionali territoriali di Fastweb
Mario Luzzi, Presidente di Zero9
Giandomenico Celata, Direttore Distretto dell’Audiovisivo e dell’ICT e Presidente di Roma Wireless
Sonia Belén Palomo Das Neves, Vice Direttore per il Trasferimento Tecnologico del Parco Tecnológico de Andalucía S.A. – PTA. Di Malaga
Brunetto Tini, Presidente Tecnopolo S.p.A
Davide D’Atri, Direttore di Beatpick
*
Hi! Tech
festival dell’innovazione
Roma, 7-10 giugno 2007
Complesso Museale dell’Ara Pacis
piazza Augusto Imperatore • via di Ripetta

lunedì, giugno 04, 2007

Il motore del Paese incontra il PD. Giovani manager, dottorandi, cervelli in fuga e precari si interrogano: quale futuro per loro nel PD e soprattutto, in Italia?
E' disponibile la registrazione del mio intervento al Dibattito "Il motore del Paese incontra il PD. Giovani manager, dottorandi, cervelli in fuga e precari si interrogano: quale futuro per loro nel PD e soprattutto, in Italia?", che si è svolto a Roma il 4 giugno 2007






Sgnalo l'articolo "Una nuova P2 ricatta la politica debole" di Giuseppe D'Avanzo su La Repubblica del 4 giugno 2007, che chiarisce i retroscena del caso Visco-Speciale
di GIUSEPPE D'AVANZO
Dietro l'affare Visco-Speciale c'è il prepotente riemergere di un ramificato potere occulto
L'errore del viceministro: non rendere pubbliche le ragioni dei cambi voluti a Milano


domenica, giugno 03, 2007

Segnalo l'intervento di Anthony Giddens, il padre della “terza via”, al Festival dell'Economia di Trento, il 2 giugno 2007

DAL WELFARE STATE ALL’INVESTIMENTO IN CAPITALE SOCIALE E UMANO
ANTHONY GIDDENS
02/06/2007

Per il grande sociologo un modello sociale europeo distinto da quello Usa è possibile ma a patto di rinnovare profondamente le vecchie forme di assistenza
Un modello sociale europeo è possibile, ma per averlo accanto all’innovazione economica è necessario anche promuovere un profondo cambiamento del welfare. In futuro le politiche sociali saranno sempre meno standardizzate; dovranno puntare alla prevenzione, promuovere stili di vita e valori “positivi”, offrire agli utenti possibilità di scelta. Questa in sintesi la lezione di uno degli ospiti più attesi del festival dell’Economia, Anthony Giddens, già direttore della London School of Economics e docente di sociologia a Cambridge, nonché “padre” del concetto di “terza via”, ovvero quel processo di riforma del bagaglio di idee e di politiche che sono patrimonio dello schieramento socialdemocratico, dall’Inghilterra agli Usa passando per tanti altri paesi europei e mondiali. Giddens ha esordito con parole di elogio per il festival di Trento, rammaricandosi di non avere avuto lui quest’idea e di non averla realizzata a suo tempo proprio a Londra. Dopo aver brevemente ripercorso l’inizio del suo coinvolgimento attivo in politica, nell’ambito degli incontri organizzati fin dal 1997 dal partito Laburista britannico con i Democratici americani – assieme fra gli altri ai Clinton, ai Blair, a Gordon Brown – e poi via via allargatisi a tanti altri paesi, Giddens è passato ad illustrare i cambiamenti epocali sopravvenuti negli ultimi anni, ovvero: globalizzazione, che per Giddens è sinonimo di più interdipendenza non solo sul piano economico ma anche su quello culturale; nuova economia, sintetizzabile con il dato riguardante gli occupati nei settori dell’agricoltura e dell’industria in Inghilterra, oltre il 40% trent’anni fa, sotto il 15% oggi; infine, un diverso rapporto fra Stato, società civile e cittadino, all’insegna di un crescente desiderio di coinvolgimento delle persone, delle comunità, dei popoli nell’assunzione delle decisioni. Venendo al campo del welfare, Giddens innanzitutto ha fatto piazza pulita delle obbiezioni solitamente sollevate dalla destra, che vorrebbe semplicemente eliminarlo, anche al fine di ridurre la pressione fiscale e quindi di accrescere la competitività. “Gli studi fatti in Europa dimostrano che gli stati più competitivi, come quelli scandinavi, non hanno rinunciato a forme di protezione sociale”, ha tagliato corto. Tuttavia anche Giddens è convinto che il vecchio stato sociale stia finendo. Vediamo allora brevemente quali sono le sue caratteristiche principali. In primo luogo, il welfare tradizionale interviene a posteriori per correggere o limitare gli effetti di eventi negativi già accaduti, come la perdita del posto di lavoro o l’insorgere di una patologia sanitaria. In secondo luogo, il vecchio welfare è “paternalista”: eroga il servizio dall’alto, ed è un servizio altamente standardizzato. Il terzo luogo, il welfare tradizionale è indifferente alla questione degli stili di vita. “Noi oggi abbiamo bisogno di un nuovo welfare – ha ribadito a questo punto della sua analisi Giddens – che deve essere nuovo fin dal nome. Anziché stato sociale potremmo chiamarlo sistema di investimento sociale con funzioni di welfare.” Investimento, dunque, ed in questa parola è racchiusa buona parte di quell’idea di novità, di cambiamento rispetto agli schemi del passato di cui il sociologo britannico si è fatto portatore in questi anni. Vediamo dunque le tre caratteristiche speculari di questo welfare rinnovato. In primo luogo, il nuovo sistema di investimento sociale dovrà avere funzione preventiva. Le sue azioni saranno orientate quindi in maniera prioritaria ad evitare il manifestarsi degli eventi negativi. In secondo luogo, il nuovo welfare dovrà prendere atto che viviamo in una società che si è abituata a scegliere, perché scegliere significa esercitare un potere. Per cui bisognerà introdurre forme di diversificazione dell’offerta, puntare ad un sistema che sia in grado di erogare prestazioni sempre più personalizzate, meno standard. Infine, il nuovo welfare sarà giocoforza interessato a promuovere stili di vita e finanche valori positivi. Esso punterà quindi sull’accrescimento del capitale umano (istruzione, formazione) e del capitale sociale (reti, associazioni di cittadini), e si preoccuperà di correggere quei comportamenti che di fatto generano i problemi e le patologie, ad ogni livello. Dai problemi legati all’obesità o al cancro, prodotti da abitudini e stili di vita nocivi, ad un grande “macroproblema” come quello del surriscaldamento del pianeta, che impone a tutti i cittadini di cambiare rotta, di evitare quanto più possibile quei comportamenti le cui ricadute sono negative per tutta la società, come un consumo eccessivo di energia o un uso smodato dell’auto. In altre parole: il nuovo welfare sarà un welfare “attivo”, con caratteristiche positive, che non si limiterà a cercare di rimuovere le cause dell’infelicità ma di stimolare comportamenti e azioni utili all’intero corpo sociale. Qualche indicazione ancora sul “che fare”, prendendo ad esempio un settore specifico, quello dei problemi causati dalle cattive abitudini alimentari : bisognerà rivolgersi innanzitutto ai bambini, con campagne mirate, perché certi problemi cominciano a manifestarsi fin dalla tenera infanzia, quando gli individui sono più facilmente vittime di campagne promozionali spregiudicate. Ma bisognerà agire anche sul mondo degli adulti, ad esempio regolamentando certe attività commerciali ed esercitando forme di pressione o di controllo sulle imprese. In conclusione, insomma, un sistema sociale europeo, che non si rassegni agli enormi squilibri sociali che si registrano oggi negli Stati Uniti, e che possa essere utile anche a paesi come India e Cina, che stanno sperimentando assieme ad una crescita accelerata delle loro economie anche l’insorgenza di nuove forme di disuguaglianza, è possibile. Bisogna avere però il coraggio di cambiare.
Segnalo l'articolo
"Il Partito democratico non può ignorare l’era digitale"

del sottosegretario Beatrice Magnolfi
su Europa del 30.5.2007
Riporto un interessante articolo di Fiorello Cortiana sul Partito democratico visto dal Nord
Il Partito democratico visto dal Nord

Fiorello Cortiana
Consulta sulla Governance di Internet Ministero dell'Innovazione

I tempi e le modalità della costituzione del Partito Democratico non possono essere dettati dagli equilibri parlamentari prodotti da una legge elettorale disgraziata: il risultato elettorale ci dice che al Nord è già tardi. Così il protagonismo degli amministratori del Nord va considerato una risorsa ed una opportunità proprio perché si mette in rete per discutere regole e contenuti della costituente democratica.
Non è un riflesso della deriva personalistica plebiscitaria, la stessa che ha depotenziato le assemblee elettive e che ha visto Berlusconi non essere causa bensì l'effetto più probabile della crisi di forma partecipativa e di contenuti dei partiti popolari . Qui al Nord per chi pensa ancora la politica pubblica come rispondente ad interessi generali la politica organizzata, con le sue gelosie e le negoziazioni di presunte rendite di posizione, costituisce il fattore di conservazione più prepotente oggi in campo a fronte delle nuove sfide della società globale, digitalizzata ed interattiva. Non possiamo più ignorare che già oggi l'economia Europea è costituita al 70% da servizi, proviamo a pensare, quante relazioni, quanta informazione, quanta comunicazione, quanta conoscenza e quanto digitale in rete vi è in quel 70%, mentre infrastrutture, normative, rappresentanze associative, procedure di negoziazione, welfare e politiche pubbliche, sono ancora riferite al modello industriale e alle narrazioni ideologiche dello scorso secolo. I Sindacati rappresentano il lavoro dipendente e i pensionati, la Confindustria le imprese, così milioni di partite IVA sono lasciate a sé stesse. La questione dell'innovazione quindi interroga direttamente la politica ed i suoi fondamenti proprio perché non riducibile a questione settoriale per tecnocrati e "smanettoni". L'Italia non dispone di una politica per cogliere le sfide e le opportunità della "società della conoscenza", le culture politiche del paese non sono adeguate a interpretare e rappresentare la novità sistemica e non settoriale della produzione di valore nell'era digitale e nella sua convergenza interconnessa in rete. Abbiamo bisogno di costruire e condividere un retroterra comune nel quale si riconoscano tutti i portatori di interessi nelle loro differenze, così come è accaduto nel secolo scorso per la società industriale/manifatturiera. Questa non è una oziosa pretesa, le esperienze riformiste hanno governato e governano al Nord solo quando interpretano e rappresentano i processi e gli attori dell'innovazione, altrimenti prevalgono logiche settoriali di interlocuzione economico/finanziaria e opinioni pubbliche atomizzate, semplificate ed impressionabili.
Pensate: la nuova Fiera a Rho- Pero, voluta e decisa dall'unica giunta regionale lombarda di centrosinistra tre lustri or sono, ora inizia a generare anche un indotto circostante. Bene, a Rho, tradizionale roccaforte del centrosinistra la Sindaco Pessina ha perso le elezioni perché ha costruito un campo nomadi organizzato e a numero chiuso mentre a Milano, dove le amministrazioni di centrodestra li lasciano allo sbando per la città, perdiamo comunque. Morale: al Nord i cittadini non affidano il loro futuro, le loro aspettative e le loro insicurezze al centrosinistra. Da qui, dalla territorialità federale, dobbiamo partire per costruire le forme e le ragioni del Partito Democratico perché non dipenda dagli equilibri contingenti delle assemblee istitizionali elettive.
In Francia Sarkozy è stato l'alternativa e l'evoluzione del centrodestra stesso proprio mentre governava e senza essere il Premier, da noi la definizione tempestiva di una leadership per il Partito Democratico è vista come disturbo del guidatore, l'ingenuo o malizioso viatico per governi istituzionali. Per chi,
qui al Nord, pensa ancora la politica pubblica come rispondente ad interessi generali la politica organizzata, con le sue gelosie e le negoziazioni di presunte rendite di posizione, costituisce il fattore di conservazione più prepotente oggi in campo a fronte delle nuove sfide della società globale, digitalizzata ed interattiva. Non è una questione di fretta o meno, chi vuole partecipare alla costituente democratica vuole sapere di quale quota di sovranità disporrà con la sua iscrizione, le astensioni elettorali ci dicono anche questo. Tanto più un processo di partecipazione sarà aperto, quindi senza alternative precostituite, inclusivo, informato e quindi consapevole, tanto più alta e adeguata alle sfide sarà la sua qualità politica. Qui la rete non è la virtualità sostitutiva e contrapposta ai luoghi di partecipazione come in Second Life, ne costituisce, invece, una complementarietà. La partecipazione informata in rete non è una indebita ingerenza ma una partecipazione diretta, essa costituisce il presupposto di risignificazione e di ridefinizione delle forme e dei luoghi, nei processi di decisione politica sia nella scelta dei fondamenti valoriali, che negli indirizzi programmatici, piuttosto che dei candidati e dei leader.
Fiorello Cortiana – Consulta sulla Governance di Internet Ministero dell'Innovazione
Suggerisco la lettura dell'articolo
"La destra giacobina a passo di carica"
di EUGENIO SCALFARI La Repubblica del 2 giugno 2007»

E' un articolo che ricostruisce in modo chiaro la vicenda Visco-Guardia di Finanza e contiene considerazioni monto condivisibili sulla nostra classe dirigente

"La maionese è impazzita. Quando avviene questo incidente culinario (e può accadere anche se le uova sono fresche di giornata) non c'è che buttarne il contenuto e ricominciare pazientemente da capo. Un'altra immagine dello stesso fenomeno che ho usato qualche mese fa è quella dello specchio rotto. Lo specchio è uno strumento che serve a riflettere l'immagine. Se si rompe in tanti frammenti l'immagine non c'è più e sopraggiunge una sorta di cecità, sia che si tratti d'un soggetto individuale sia - peggio ancora - d'un soggetto collettivo. Ma nel caso nostro, voglio dire nella società italiana, nelle forze politiche e sociali che ne sono parti rilevanti, nella classe dirigente che dovrebbe guidarla ed esserne punto di riferimento e di esempio, non ci sono più nemmeno i frammenti di quello specchio. Si direbbe che un cingolato ci sia passato sopra e l'abbia polverizzato. Così si procede a tentoni, animati solo dall'istinto di sopravvivenza, dagli spiriti animali, dalla psicologia del branco, dai legami corporativi. La razionalità non fa più parte del nostro bagaglio intellettuale e morale. È stata picconata da tutte le parti la razionalità; accusata di essere all'origine dei delitti e del più grave tra tutti - quello della superbia. Così la luce della ragione è stata spenta, nuove ideologie si sono installate al posto di quelle crollate in rovina, fondamentalismi d'ogni tipo hanno preso il posto della tolleranza e della certezza del diritto.
I circuiti mediatici hanno dato mano a questa devastazione e salvo rarissime eccezioni ancora continuano in questa funzione amplificatoria e istigatrice del peggio, accreditando e ventilando versioni dei fatti prive di verità e di ragione. Questo complesso di circostanze ha toccato il suo culmine nel conflitto in atto tra il governo e il generale comandante della Guardia di finanza, Roberto Speciale. Un conflitto certamente grave perché motivato da ragioni tutt'altro che futili, ma che sta coinvolgendo le massime istituzioni repubblicane in un contesto, appunto, di impazzimento generale sapientemente alimentato da una psicologia del tanto peggio tanto meglio che ha ora raggiunto livelli mai visti prima. Ci occuperemo dunque di questa incredibile vicenda cercando di chiarirne gli elementi di fatto con la massima obiettività possibile in questi chiari di luna. Non senza avvertire che essa è soltanto l'ultimo episodio d'una serie che costella da anni il costume nazionale gettando nello sconforto tutte le persone di buona fede e di buona volontà che costituiscono ancora la maggioranza del Paese e assistono impotenti e senza voce allo scempio della ragione. Sarò conciso nel rievocare fatti già noti ma spesso trascurati o volutamente stravolti. E comincio dalla fine, cioè da quanto è avvenuto ieri, 2 giugno, festa della Repubblica. La giornata è cominciata malissimo. A Roma nella tribuna dalla quale le autorità dello Stato assistevano alla parata delle Forze armate mentre sfilavano i vari corpi, le storiche bandiere dei reggimenti con i medaglieri guadagnati sui campi di battaglia e nelle rischiose missioni di pace, andava in scena una lite continua e sommamente disdicevole tra i rappresentanti dei due schieramenti politici, seduti alle spalle del presidente della Repubblica. Poco dopo il capo dell'opposizione, Silvio Berlusconi, interrogato dai giornalisti sull'intenzione di chiedere udienza al Capo dello Stato per rappresentargli una situazione definita di "attentato alla democrazia" da lui e da tutti gli altri componenti del centrodestra, rispondeva: "Quella visita al Quirinale sarebbe nei nostri desideri, ma purtroppo non c'è più nessuna istituzione che ci dia garanzie d'indipendenza: la sinistra le ha occupate tutte". Affermazione della quale è superfluo segnalare la gravità e che, pronunciata da chi ha guidato il governo per cinque anni e da un anno guida l'opposizione, segnala - essa sì - un degrado democratico che colpisce il presidente della Repubblica in prima persona e il suo ruolo di massima garanzia. Prodi dal canto suo, nel corso di un drammatico Consiglio dei ministri avvenuto il giorno prima, di fronte alle reiterate divisioni sull'uso delle risorse disponibili, aveva detto: "Se si continua così io me ne vado, ma non vi illudete pensando a soluzioni dopo di me perché dopo di me ci sono soltanto le elezioni". Si può capire il perché di questa affermazione, volta a richiamare all'ordine gli alleati riottosi, ma non toglie che si tratti d'una forzatura poiché non spetta a Prodi stabilire che cosa potrebbe avvenire dopo le sue eventuali dimissioni; spetta soltanto al Capo dello Stato dopo che abbia consultato i gruppi parlamentari. Quanto a Napolitano, egli ha più volte ripetuto che non intende sciogliere le Camere con la vigente legge elettorale che le rende ingovernabili e comunque senza prima aver accertato l'esistenza o meno d'una maggioranza parlamentare che possa dare fiducia ad un governo istituzionale insediato per formulare una nuova legge elettorale e adempiere ai compiti urgenti che incombono sulle materie dell'economia, della finanza pubblica e della sicurezza nazionale. Infine lo stesso Napolitano ha dichiarato che il tema della Guardia di Finanza e della rimozione del suo comandante generale esulano dalle sue competenze. In quelle stesse ore, nel corso d'un convegno dei giovani industriali a Santa Margherita, Gianfranco Fini insultava pesantemente il ministro dell'Industria, Bersani, ottenendo dalla platea un'ovazione da curva sud dello stesso tipo di quelle ottenute da Berlusconi a Vicenza alcuni mesi fa sotto lo sguardo allora allibito di Montezemolo e del vertice della Confindustria. Spettacolo preoccupante, quello di Santa Margherita; non perché gli industriali non possano applaudire un uomo di partito che esprime le sue idee, ma perché quell'uomo di partito è lo stesso che ha condiviso quella politica che ha portato il reddito nazionale a crescita zero, il debito pubblico a risalire, l'avanzo primario del bilancio a scomparire, la pressione fiscale ai suoi massimi, i fondi per le infrastrutture inesistenti e le liberalizzazioni interamente inevase. Questo, ad oggi, il grado di impazzimento di quella maionese di cui si è parlato all'inizio. Ma ora risaliamo a quanto è accaduto tra il vice ministro delle Finanze e il generale Speciale. Ecco i fatti nella loro crudezza. 1. Speciale presenta a Visco qualche mese fa un piano di avvicendamenti comprendenti l'intero quadro di comando della G. d. F. Motivazione: è prassi che ogni tre anni gli incarichi siano avvicendati per ragioni di funzionalità. 2. Visco esamina il piano e vede che l'avvicendamento riguarda tutti i comandi salvo quelli di Milano e della Lombardia. Ne chiede ragione. Speciale, in ottemperanza, si impegna a riformulare il piano includendovi i comandi della Lombardia. 3. Visco sa benissimo il motivo dell'esclusione dei generali e dei colonnelli che hanno incarichi dirigenti a Milano: si è formato da anni in quella provincia un gruppo di potere collegato con il comando generale di Roma. Risulta a Visco che quegli ufficiali abbiano "chiuso gli occhi" su gravissime irregolarità verificatesi nel sistema delle intercettazioni telefoniche, avvenute nel corso di scalate finanziarie a banche e a giornali. Alcuni di quei documenti sono stati trafugati e consegnati a giornali di parte per la pubblicazione. In alcuni casi le intercettazioni non sono neppure arrivate all'ufficio del Pubblico Ministero ma trafugate prima e consegnate ai giornali senza che la magistratura inquirente ne avesse preso visione. 4. Passano i giorni e le settimane ma Speciale non consegna il nuovo piano di avvicendamento. 5. Nel frattempo lo stesso Speciale avvisa, all'insaputa di Visco, il procuratore della Repubblica di Milano che i comandi della G. d. F. milanese stanno per essere sostituiti. Il procuratore si preoccupa per i nuclei di polizia giudiziaria che operano ai suoi ordini effettuando inchieste delicate e importanti. Speciale lo invita a mettere per iscritto quelle preoccupazioni. Arriva la lettera del procuratore. Speciale la mostra a Visco. 6. Visco, dopo aver riesaminato la pratica, telefona a Speciale per manifestare la sua sorpresa e il suo malcontento. Speciale mette in vivavoce la telefonata alla presenza di due alti ufficiali che ascoltano la conversazione. 7. Il tribunale di Milano, richiesto di verificare lo stato dei fatti in via di accertamento, esclude che esista alcuna indebita interferenza da parte di Visco. 8. Speciale rende pubblico il conflitto in atto presentandolo come un'interferenza di Visco sull'autonomia della G. d. F. Di qui i seguiti politici che conosciamo e che portano all'autosospensione di Visco dalla delega sulla G. d. F. e alla rimozione di Speciale dal comando generale per rottura del rapporto fiduciario tra lui e il governo. Dove sia in questa arruffata vicenda l'attentato alla Costituzione e alla democrazia denunciato con voce stentorea da Berlusconi e da tutti i suoi alleati, Casini compreso, è un mistero. Il vice ministro delle Finanze aveva - ed ha - il fondato sospetto di gravi irregolarità compiute da alcuni comandi collegati con il comando generale. Rientra pienamente nei suoi poteri stimolare il comando generale ad avvicendare i generali non affidabili. Alla fine, accogliendo le preoccupazioni del procuratore di Milano, lo stesso Visco consente ad escludere i comandi milanesi dall'avvicendamento dei quadri nel resto d'Italia. Tra i dettagli (dettagli?) incredibili c'è quella telefonata messa in vivavoce all'insaputa dell'interlocutore ed ascoltata da due ufficiali di piena fiducia dello Speciale. Basterebbe questo dettaglio a rimuoverlo dal comando. Del resto - e purtroppo - non è la prima volta che il comando generale della G. d. F. dà luogo a gravissimi scandali. Almeno in altre due occasioni dovette intervenire la magistratura penale e fioccarono pesanti condanne di reclusione. Ovviamente ciò non lede il valore e l'affidabilità di quel corpo militare, così come i tanti casi di pedofilia dei preti non vulnerano l'essenza della Chiesa quando predica il Vangelo. Certo ne sporca l'immagine e quindi danneggia fortemente la Chiesa. Così le malefatte di alcuni generali e perfino del comandante generale pro-tempore non inficiano l'essenza d'un corpo chiamato a tutelare le finanze dello Stato ma certamente ne sporcano l'immagine. Quanto a Visco, quando il conflitto si è fatto rovente tracimando nella politica e in Parlamento, ha restituito la delega in attesa che si pronunci la magistratura di Roma che nel frattempo ha aperto un'inchiesta contro ignoti su quel tema. C'è un'orchestrazione sapiente in tutto questo. La ricerca della spallata che tarda a venire. L'uso delle proteste provenienti dai tanti interessi corporativi. I danni gravi dell'eterno litigio all'interno del governo e della coalizione che lo sostiene. Il voto elettorale certamente sfavorevole al centrosinistra specie nel Nord. Il riemergere del massimalismo della Lega e dei falchi berlusconiani. Le rivalità fra i riformisti del centrosinistra per la leadership del Partito democratico. La sinistra radicale imbizzarrita. C'è un paese che non ha più una classe dirigente ma solo veline e velini disposti a tutto pur d'avere due minuti su un telegiornale e un titolo di prima pagina su un quotidiano. Possiamo esser tranquilli in mezzo a questo "tsunami"? Due punti fermi negli ultimi tre giorni ci sono stati. Il primo è la correttezza e la forza di Giorgio Napolitano di fronte agli sguaiati tentativi di coinvolgerlo e il richiamo del Capo dello Stato al principio della divisione dei poteri che rappresenta il cardine dello Stato di diritto e che, in verità, Berlusconi ha calpestato e calpesta da dieci anni a questa parte. Le leggi "ad personam" e la sua prassi di governo lo provano a sufficienza, quale che sia in proposito l'opinione della nuova borghesia sponsorizzata e immaginata da Montezemolo e dal giovane Colaninno. Il secondo punto di tranquillità è venuto dalle Considerazioni finali esposte il 31 maggio dal governatore della Banca d'Italia. Draghi, con una prosa secca quanto lucida e documentata, ha segnalato le luci e le ombre dell'economia italiana distribuendole equamente tra la classe politica, le parti sociali, gli operatori economici. Ha dato a ciascuno il suo, nessuno è stato privato dei riconoscimenti meritati e del fardello di critiche altrettanto dovute. Personalmente temevo che il tecnocrate Draghi si mettesse sulla scia della protesta confindustriale legittima ma sciupata dalla salsa demagogica servita a piene mani nell'Auditorium di Roma e in quello di Santa Margherita. Non è stato così e ne sono ben lieto. Draghi ha reso un servizio al paese, come ha fatto Mario Monti in altre occasioni. Come fece Ciampi nelle varie tappe della sua vita al servizio delle istituzioni. Queste persone ci danno calma e recuperano la morale e la ragione. Seguendo questa traccia si potrà forse costruire uno specchio nuovo e recuperare un'immagine decente di noi stessi e d'un paese deviato dai cattivi esempi a ingrandire il fuscello che sta nell'occhio altrui senza occuparsi della trave che acceca il proprio."
Manifesto del Comitato Promotore “I saperi per il Partito Democratico”
Bozza 21 maggio 2007

Un nuovo ruolo protagonista del mondo dei saperi
Come mondo dei saperi vogliamo contribuire da protagonisti alla nascita del Partito Democratico e, più in generale, alla riforma della politica. Intendiamo, quindi, partecipare attivamente, con un nostro contributo progettuale e di azione, per affermare alcuni obiettivi prioritari:
· il processo di costruzione del Partito Democratico deve coincidere con l'avvio di una vera e propria rifondazione del rapporto tra politica e cultura, tra politica e società;
· il nuovo soggetto politico deve rappresentare un autentico rinnovamento del modo di fare e di immaginare la politica;
· nella società della conoscenza il mondo della politica deve guardare al mondo dei saperi come ad un settore strategico per lo sviluppo e per la qualità della società, come ad un prezioso e irrinunciabile serbatoio di idee, di apporti, di competenze per costruire una strategia consapevole di progresso.

Il Partito Democratico che sogniamo e auspichiamo
· Un partito che non nasca da alchimie di vertice, ma sia aperto al protagonismo diretto della gente, come è stato nelle primarie, che torni ad appassionarsi alla discussione e al confronto libero, non piegato ai tatticismi o agli interessi contingenti, che ridefinisca propri principi ai quali ispirare scelte e azioni nell’interesse generale.
· Un partito che sia in grado di elaborare e aggiornare codici interpretativi adeguati di una società attraversata da cambiamenti continui e sempre più rapidi, e di muoversi con una sicura direzione di rotta, che sia capace di interpretare esigenze, bisogni, aspettative, sogni, che sia in grado di parlare i nuovi linguaggi del popolo della rete.
· Un partito che rimetta, quindi, al centro la conoscenza e l’innovazione valorizzando, con politiche decise, i centri di formazione e di elaborazione del sapere, ma anche integrando il mondo dei saperi al suo interno nell’obiettivo di dare continuamente risposte adeguate alle sfide inedite e alle tensioni che il mondo globalizzata pone.
· Un partito con un nuovo DNA a partire dal modo di operare, che si chiami democratico perché facilita e favorisce l'accesso alle scelte e alle decisioni, perché è diretto in pari misura da donne e da uomini, perché vi trovano rappresentanza giovani e anziani, cittadini italiani e persone che non lo sono, ma vivono in Italia.

Affermiamo una nuova concezione del welfare adeguato alla società della conoscenza e alle sfide della società globale.
Nel nostro tempo, realizzare condizioni di qualità sociale rende indispensabile espandere e ampliare le politiche tradizionali di welfare (assistenza, previdenza, etc.), in modo da affrontare le problematiche cruciali per assicurare prospettive di sviluppo e di progresso. Senza questo orizzonte, capace di puntare sul futuro, si rischierebbe di garantire soltanto tutele di corto respiro e inadeguate a sviluppare efficaci politiche di inclusione sociale e di rinnovamento della società.
Centrare i nodi strategici per una nuova nozione di welfare, significa scegliere l’università, la ricerca e l’innovazione come priorità politica e affermare la qualità della sanità come diritto della persona.

Scegliere l’università, la ricerca e l’innovazione come priorità politica.
Nella competizione globale l’innovazione è fattore strategico, pertanto la conoscenza assume un ruolo fondamentale. Occorre attivare politiche che rilancino e rafforzino il ruolo dei luoghi del sapere, le università e i centri di ricerca, come centri di qualità e di eccellenza, in grado di rispondere ai bisogni del paese, attraverso: maggiori risorse finalizzate; politiche che puntino a valorizzare il merito e le competenze; riorganizzazione della didattica; forti immissione di giovani e di talenti, puntando anche all’internazionalizzazione; progettazione e realizzazione di un piano integrato di riforme e di una nuova governance adeguate.
L’università deve ritrovare la sua missione di centro di elaborazione e diffusione del sapere, ma deve anche diventare veicolo di progresso dell’individuo, della società, dell’ambiente. Deve diventare istituzione culturale viva, partecipe, non autoreferenziale, aperta alle vocazioni del territorio e ai bisogni della persona. Occorre creare una alleanza stabile tra università, istituzioni, imprese per lo sviluppo e per una competitività territoriale compiuta. Si gioca qui l’autentica prospettiva per il mezzogiorno e per le aree depresse, per l’emancipazione degli strati deboli della società e per una reale inclusione sociale, per l’affermazione di un nuovo welfare.

Occorre rifondare il percorso di costruzione del Partito Democratico come “costituente di popolo”
Nelle ultime settimane e, in particolare, in occasione dei congressi DS e Margherita, si sono intensificati l’impegno e l’attenzione attorno alla costruzione del Partito Democratico.
Tutto ciò, però, è rimasto sostanzialmente all’interno dei confini dei partiti, troppo spesso nell’ambito dei soli gruppi dirigenti. Non si è realizzata, insomma, quell’apertura alla società, quel coinvolgimento di soggetti sociali e di movimenti, e, quindi quella “costituente di popolo”, che molti di noi hanno immaginato e auspicato come percorso per la costruzione di un nuovo Partito veramente Democratico.
Ora, i gruppi dirigenti hanno impresso una accelerazione notevole al processo e hanno definito i passi formali, decidendo di convocare per il prossimo 14 ottobre l’Assemblea costituente del Partito Democratico.
Dobbiamo invertire la rotta per rifondare questa fase costituente come una straordinaria occasione di partecipazione e di raccolta e di valorizzazione delle idee, dei bisogni, dell’energia e delle creatività di tanta parte di popolo che vuole esserci, a partire, ma anche oltre il popolo delle primarie per Prodi.
Vogliamo partecipare per contare, nella formazione delle decisioni e fino alla definizione di un nuovo modo di costruire i gruppi dirigenti del nuovo Partito Democratico. Se nascessero soltanto come frutto di scelte e mediazioni dei vertici dei DS e della Margherita, non potrebbero che guidare il nuovo Partito alla vecchia maniera.

Scendiamo in campo con la nostra iniziativa come mondo dei saperi
Costruiamo insieme le azioni necessarie per realizzare i nostri obiettivi:
definire il “Manifesto” contenente le nostre priorità programmatiche e organizzative da prospettare e proporre alle forze politiche, ai soggetti e ai movimenti impegnati nella costruzione del Partito Democratico; sollecitare il confronto su di esso anche con i nostri colleghi che hanno scelto un percorso politico diverso nell’Unione, in linea con la vocazione unitaria del mondo dei saperi per la riforma e il rinnovamento della politica,
organizzare la nostra presenza, il nostro apporto e la nostra partecipazione, dialogando con tutti, in più sedi possibili, in modo da far contare positivamente e più incisivamente il ruolo protagonista del mondo dei saperi;
trasformare il Gruppo di coordinamento in Comitato promotore “I saperi per il Partito Democratico” ed estendere le adesioni avvalendosi delle reti di rapporti scientifici, professionali e interpersonali di ciascuno di noi, nella consapevolezza che più siamo e più contiamo, puntando sulla vocazione unitaria del nostro mondo per la riforma e il rinnovamento della politica, come possibile filo di dialogo e rapporto costruttivo anche con i nostri colleghi che hanno scelto un percorso politico diverso;
formare un Gruppo organizzativo di referenti che faciliti e renda più efficiente la gestione e lo sviluppo delle attività.

Riferimento: Gianni Orlandi (cell. 3488097609, email: gianni.orlandi@uniroma1.it)
Lunedì 21 maggio 2007 incontro del Gruppo di coordinamento "I saperi per il Partito Democratico"
Lunedì 21 maggio 2007 alle ore 17.30 presso l’Aula Conversi del Dipartimento di Fisica dell’Università di Roma La Sapienza, si è svolto l’incontro del Gruppo di coordinamento "I saperi per il Partito Democratico", per riprendere il nostro cammino e portare il nostro contributo fattivo e diretto alla costruzione del nuovo Partito Democratico.
Queste sono le decisioni emerse:
Siamo consapevoli delle difficoltà, che si sono determinate in questi mesi e che hanno fortemente attenuato gli entusiasmi dell’esperienza delle primarie di Prodi. Il dibattito è rimasto sostanzialmente all’interno dei confini dei partiti, troppo spesso nell’ambito dei soli gruppi dirigenti. Non si è realizzata, insomma, quell’apertura alla società, quel coinvolgimento di soggetti sociali e di movimenti, e, quindi quella “costituente di popolo”, che molti di noi avevano immaginato e auspicato come percorso per la costruzione di un nuovo Partito veramente Democratico.
Siamo, però, determinati ad esserci e a contare perché riteniamo che sia importante il contributo che possiamo apportare, anche sulla base della vocazione unitaria del nostro mondo per la riforma e il rinnovamento della politica, come possibile filo di dialogo e rapporto costruttivo anche con i nostri colleghi che hanno scelto un percorso politico diverso.
Nel corso della riunione, abbiamo discusso una bozza di “Manifesto” contenente le nostre priorità programmatiche e organizzative e abbiamo deciso di costituirci in Comitato Promotore “I saperi per il Partito Democratico”, per meglio dispiegare la nostra azione ed essere presenti nel dibattito e negli incontri con le forze politiche, con gli altri Comitati ed Associazioni che si stanno organizzando, con i soggetti e i movimenti impegnati nella costruzione del Partito Democratico.
Le adesioni al Comitato Promotore “I saperi per il Partito Democratico” possono essere inviate all'email gianni.orlandi@uniroma1.it, dove è possibile anche inviare eventuali contributi e suggerimenti per il “Manifesto”.

E' importante diffondere il Manifesto attravreso le reti di rapporti scientifici, professionali e interpersonali di ciascuno, in modo da raccoglieere il maggior numero di adesioni. Più siamo e più contiamo nel processo di costruzione del nuovo partito, anche in rapporto alle scadenze dell’Assemblea costituente romana e nazionale.