venerdì, gennaio 28, 2011

Questo PD non può proporsi per governare il paese. Non ha idee, non ha una strategia. Tutto il personale politico è da buttare, giovani e vecchi, gli uni peggiori degli altri.

Stefano Fassina: Generatore di frasi in ordine casuale

Ho fatto una cosa che, su nFA, ha introdotto ne'elam: preso il pezzo del discorso al Lingotto di Stefano Fassina - responsabile economico del PD - che un lettore ci ha gentilmente segnalato; tolto un paio di congiunzioni; ordinato e numerato. Poi ho cambiato ordine.

1. Il paradigma liberal-democratico va superato, poiché la cultura liberal-democratica non è in grado di reggere lo sguardo di Medusa dell’economia globale, come rileva un filone di pensiero ispirato alla “Caritas in Veritate” (es. Brokenforde e Bazoli), riconoscono oggi i fondatori del New Labour (es. Policy-network) e sostengono illustri economisti mainstream (es. Rajan in “Fault Lines”).

2. Il pensiero liberale ispirato all’individualismo metodologico è inadeguato ad affrontare le sfide drammaticamente scarnificate dalla crisi: la libera interazione tra agenti economici razionali, impegnati a massimizzare funzioni di utilità individuali, non conduce ad un equilibrio generale soddisfacente e allo sviluppo integrale della persona.

3. La politica non può rimanere ancillare all’economia. Non può limitarsi a liberare gli individui dai lacci e lacciuoli delle istituzioni pubbliche.

4. La politica deve portare a sintesi interessi diversi ed orientarli verso il bene comune definito in un processo democratico.

5. Le forze economiche non portano autonomamente alla crescita e l’economia, da sola, non fa la società, come assumevano le tramontate “Terze vie”. Il governo europeo dell’economia, politica industriale, investimenti pubblici, canalizzazione del risparmio privato, re-distribuzione del reddito, sono necessarie per la crescita.

6. La giustizia sociale non può essere soltanto principio correttivo di una logica di funzionamento informata esclusivamente dall’individualismo proprietario.

7. Celebrare la “modernità” economicistica di Marchionne implica una prospettiva di rassegnazione pragmatica e di subalternità politica al lavoro. Invece, la centralità politica ed economica del lavoro è l’eredità del ‘900 da portare nel riformismo del XXI secolo.

cintinue reading...

lunedì, gennaio 24, 2011

LE COLPE CHE I VECCHI NON HANNO

Un malinteso giovanilismo

Giuseppe De Rita

22 gennaio 2011

Corriere della Sera


Nelle ultime settimane si è accentuata la già alta e preoccupata attenzione sul futuro dei nostri giovani, anche con un inizio di istruttoria di colpevolezza. Così sono stati additati via via come colpevoli i vecchi che non lasciano il campo; i quaranta-cinquantenni che non hanno saputo gestire lo sviluppo attuale e futuro; le famiglie che, fra calore materno ed ausilio nonnesco, non rendono autonomi i loro figli e nipoti; la sovrastante offerta di beni e servizi che rende i giovani incapaci di desiderare alcunché; la stessa società, che non riesce a dar senso collettivo alle vite individuali; ed anche gli stessi giovani, poco propensi a rischiare avventure e responsabilità personalizzate.

Tanti colpevoli, nessun vero colpevole, verrebbe da dire. È utile invece un esame di coscienza che eviti il rimpallo circolare delle responsabilità e dei vittimismi e metta a fuoco quali meccanismi e processi culturali e sociali ognuna delle categorie citate mette in campo.

Cominciamo dai vecchi, la categoria che ha trascorso tutta la vita in questa società e che quindi più profondamente la conosce e ne interpreta i movimenti. Le accuse sono note: diffondono un’immagine quasi visiva dell’invecchiamento; esprimono con evidenza la rinuncia a progettare il futuro; espandono crescenti macchie di egoismo individuale e di gruppo; instillano germi di scetticismo e di cinismo; si rintanano in finora inusuali modi del vivere quotidiano (la residenza in piccoli borghi tranquilli o la breve passeggiatina con la badante). Vecchi e produttori del vecchio? In verità, se penso ai tanti amici coetanei che ancora lavorano oltre i 70 anni avverto in essi la determinazione a far sì che il loro vissuto possa avere un senso nel futuro di altri. C’è il vecchio monaco che continua a piantare filari di tigli perché chi seguirà possa goderne l’ombra e l’odore (metafora di più profondi filari di fede e di speranza); c’è il vecchio direttore di giornale che continua a credere in un messaggio patriottico anche rudimentale; c’è il vecchio presidente di grande banca che continua a riproporre il nesso fra etica, responsabilità, efficienza aziendale; ci sono la vecchia attrice e il vecchio attore (in questo periodo a Roma) che continuano a proporre una ironia ed una comicità lontane dalla guazza parolacciara oggi di moda; c’è il vecchio dirigente Rai che continua a trasmettere cultura contadina; c’è il vecchio giornalista televisivo che scrive un libro su Casanova (e ne discute con un vecchio regista) per dimostrare che il libertinismo è cosa più seria di quanto voglia far oggi credere uno scadente giornalismo gossip; c’è il vecchio ricercatore sociale che continua a proporre alla nostra società momenti ed occasioni di autocoscienza collettiva; c’è anche il presidente della Repubblica che continua a delineare e proporre gli assi di giusta progressione del sistema.

In tante decisive componenti della nostra vita associata, i vecchi allora funzionano. E non in termini di puro potere mandarino. Chi abbia infatti decifrato i personaggi sopra anonimamente citati avrà colto che in essi ci sono alcune componenti comuni, di profondo significato per i giovani che «si affacciano alla vita»: una componente di vocazione (hanno emotivamente scelto il proprio campo di impegno); una componente di fedeltà all’oggetto (hanno fatto solo un lavoro, senza troppo saltabeccare); una componente di tenacia, quasi di testardaggine nell’andare sempre nella stessa direzione; una componente di serena continuità («continuano » è il termine volutamente sopra ripetuto).

continue reading...


venerdì, gennaio 21, 2011


LA LEGGENDA DEL NUMERO FISSO DI POSTI DI LAVORO

21.01.2011


Ecco sfatata una vecchia leggenda. Addirittura all'università, dove il sapere accumulato e l'esperienza sono un patrimonio prezioso, tutti i partiti di destra e di sinistra, in contro tendenza con gli altri settori lavorativi, hanno ridotto l'età di pensionamento con la falsa promessa di far entrare i giovani

Il grafico qui sotto mostra sull’asse orizzontale la percentuale di giovani tra i 20-24 anni che lavorano e, sull’asse verticale, la stessa percentuale riferita alle persone tra i 55 e i 59 anni.
Molti credono che ci sia un numero fisso di posti di lavoro e che, dunque, forzando i lavoratori più anziani ad andare in pensione, si creino opportunità di lavoro per giovani. Questa tesi ha fornito il sostegno a che si è opposto all’innalzamento dell’età di pensionamento in linea con l’allungamento della speranza di vita. Il grafico ci dice invece che nei paesi in cui il tasso di occupazione dei giovani (20-24 anni) è più basso, ci sono anche meno persone tra i 55 e i 59 anni che lavorano. Viceversa nei paesi in cui più lavoratori anziani lavorano ci sono anche più opportunità di impiego per i giovani.

Fonte: Indagine forze lavoro vari paesi

domenica, gennaio 09, 2011

Why Italian graduates cannot wait to emigrate

Jan 6th 2011 | ROME | from PRINT EDITION

ALESSANDRO WANDAEL is a photographer. His is a profession in which success should depend on talent alone. But not so in his native Italy. The photo credits in magazines show that photographers who have family or other close ties to editors are working regularly, he says. “Those who don’t, aren’t.”

The 37-year-old Mr Wandael, a former architect, has lived abroad ever since graduating: first in Berlin; now in New York. Figures in this field are often outdated and vague. But Mr Wandael is far from alone. According to 2005 statistics published by the OECD, he is among some 300,000 highly educated Italians who have opted to leave a country that has become rich without dismantling a social framework in which access to jobs depends on family ties, political affiliations andraccomandazioni(string-pulling recommendations). Last month saw unexpectedly violent student protests in a number of cities against proposed reforms to the university system. Some commentators detected in this a symptom of the frustration the Italian way of doing things generates among the educated young.

How serious is the problem? It “does not exist”, said a junior minister in 2002, claiming that only 150-300 graduates a year left the country for good. A minister in the current government privately acknowledges the phenomenon, but says that the only real cause for concern is the departure of scientific researchers. But neither of these contentions stands up. A 2004 study found that, of all Italian emigrants, the share of those with degrees quadrupled between 1990 and 1998. In 1999, according to a separate study, 4,000 graduates cancelled their Italian residency. And just 17% of Italian graduates in the United States, the most popular destination, are involved in research and development, according to the (American) National Science Foundation. The biggest chunk work as managers.

giovedì, gennaio 06, 2011

Cyberspace When You’re Dead

The New York Times

Magazine

By ROB WALKER

Published: January 5, 2011


Suppose that just after you finish reading this article, you keel over, dead. Perhaps you’re ready for such an eventuality, in that you have prepared a will or made some sort of arrangement for the fate of the worldly goods you leave behind: financial assets, personal effects, belongings likely to have sentimental value to others and artifacts of your life like photographs, journals, letters. Even if you haven’t made such arrangements, all of this will get sorted one way or another, maybe in line with what you would have wanted, and maybe not.

But many of us, in these worst of circumstances, would also leave behind things that exist outside of those familiar categories. Suppose you blogged or tweeted about this article, or dashed off a Facebook status update, or uploaded a few snapshots from your iPhone to Flickr, and then logged off this mortal coil. It’s now taken for granted that the things we do online are reflections of who we are or announcements of who we wish to be. So what happens to this version of you that you’ve built with bits? Who will have access to which parts of it, and for how long?

continue reading...

sabato, gennaio 01, 2011

La riforma Gelmini su Nature

Assessment time

Italy’s proposed university reform must be

linked to performance

As Rome burned last week during anti-government riots, many

of those present were focusing on the plight of Italy’s underfunded

and underperforming universities, which face major

reform. There is no doubt that reform is needed. The question is

whether the government will deliver it correctly.

Islands of excellence exist in Italian universities, particularly in

the north of the country. And they survive despite such low levels of

government investment that little cash remains for infrastructure or

research once salaries have been paid. But malaise is widespread, and

money is not the only question. University workforces are riddled

with dead wood, a legacy of too little competition for academic posts

or research grants. And universities are not penalized if they choose to

hire staff on the basis of personal contacts instead of talent.

(leggi tutto)