venerdì, agosto 10, 2012


Mio articolo su 

Il Fatto Quotidiano 

8 agosto 2012

di Gianni Orlandi*
Sono convinto che una seria
politica di spending review
che punti a ridurre
spese improduttive e sprechi
sia utile e necessaria per recuperare
risorse e dare ai cittadini
un segnale di responsabilità
del sistema. Non condivido,
però, la ra t i o del provvedimento
sull’aumento delle tasse
per i fuori corso delle nostre
università, che ritengo inutile e
iniquo. Inutile, perché spingerebbe
molti fuori corso a non
iscriversi più e, pertanto, non si
conseguirebbe alcuna delle risorse
aggiuntive che ci si aspetta,
tant’è che si è data la facoltà
agli atenei di aumentare le tasse
per tutti. Gli studenti fuori corso
non frequentano le lezioni e
i laboratori, quindi, costano
nulla o quasi all’ateneo; di contro
con le loro tasse di iscrizione
finanziano il sistema universitario
a favore degli altri studenti.
Paradossalmente, possono
essere considerati – come
affermava anni fa un vecchio
Rettore della Sapienza – “soste -
nitori” del sistema e, se non ci
fossero, si determinerebbe una
riduzione significativa di risorse
per le università. Iniquo, perché
colpisce studenti più o meno
giovani che, spesso, non sono
“fa n nu l l o n i ”, ma hanno incontrato
durante il periodo degli
studi difficoltà di vario genere,
quali, non da ultimo, la necessità
di mantenersi con un lavoro,
in genere precario.
UN’OBIEZIONE dei favorevoli
al provvedimento è che gli
studenti lavoratori non saranno
penalizzati, ma non è realistica.
Come certificare, infatti, lo stato
di lavoratore? Nel paese in cui
trionfa l’evasione fiscale, fin
troppo di frequente il lavoro è in
nero, colpendo proprio i giovani.
Del pari, l’aumento della tassazione
in funzione del reddito
familiare, rischia ancora una
volta di penalizzare chi le tasse
le paga, premiando gli evasori
nel campo dell’accesso all’istr uzione
che dovrebbe costituire
un diritto protetto da ben altre
tutele. Ma al di là di tutto ciò, si
impongono altre considerazioni
che si misurano con lo stato
attuale del paese. Nell’era drammatica
della disoccupazione
giovanile crescente, il permanere
iscritti all’università, anche
oltre gli anni di corso, rappresenta
inevitabilmente una sorta
di ammortizzatore psicologico
per tanti giovani, loro sì “sfiga -
ti”, ai quali il mercato del lavoro
non ha niente da offrire. Ed è un
modo per molti di mantenere
un cordone ombelicale, anche
se tenue, con il sogno di raggiungere
un domani l’a gognata
laurea. Né è politica intelligente
scoraggiare queste aspettative,
se si considera che in Italia il numero
dei laureati, nonostante la
riforma del 3 più 2, rimane
drammaticamente basso.
PIÙ IN GENERALE, il provvedimento,
pur se riferito a un
aspetto specifico, tradisce una
visione limitata e limitante che
non colloca la crescita della conoscenza,
concepita sia come
conoscenza degli individui che
della società nel suo complesso,
nel rango di massima priorità
per un serio sviluppo economico
e sociale e per una seria politica
di competitività nel mondo
globale. Secondo quest’ulti -
mo approccio ogni aspirazione
ad accrescere il bagaglio di conoscenze
e di competenze, sia
da parte di giovani, che di individui
più maturi e persino anziani,
va protetto e forse, anche assistito.
Si alimenta così il paese
dei talenti e della creatività.
Guai a considerare queste caratteristiche
tratto genetico degli
italiani, dato per scontato, come
molti commentatori improvvidamente
ripetono. Insomma
è opportuno e urgente
cambiare la legge. Ci sono altri
modi per ridurre gli sprechi nell’università.
Si abbia il coraggio,
per esempio, di chiudere le decine
di sedi periferiche, spesso
inutili e ridondanti, volute dai
notabili locali solo per fini elettorali.
Si risparmierebbero i costi
di gestione, a partire da quelli
per gli affitti delle sedi, e si guadagnerebbe
in qualità. Il risparmio
di risorse potrebbe essere
destinato a sostenere un vero diritto
a studiare per molti giovani
meritevoli. Ma, questo, forse,
non si farà mai per non disturbare
gli interessi di piccole o
grandi caste locali. È più semplice
colpire la massa anonima dei
fuori corso che non interessa a
nessuno. Sinceramente, mi sarei
aspettato di meglio da un governo
di “professor i” che hanno,
o avrebbero dovuto avere,
una ben maggiore sensibilità
per i temi della formazione e
della conoscenza, o almeno una
maggiore consapevolezza del
valore sociale della crescita culturale
degli individui.
*Direttore del Dipartimento di
Ingegneria dell'Informazione,
Elettronica e Telecomunicazioni
all’Università di Roma “La
Sapienza”
L’aumento delle
tasse universitarie
per chi tarda a
laurearsi è ingiusto:
spesso si tratta
di ragazzi che loro
malgrado lavorano
in nero e non ha
alcun senso far
pagare gli sprechi
pubblici a chi studia