giovedì, gennaio 29, 2009

C'è qualcuno in Italia capace di fare queste cose?

Il Sole 24 Ore Radiocor del 28 gennaio 2009

L'Italia deve accelerare sulla strada delle riforme strutturali che sono sul tappeto da decenni, altrimenti finirà preda di un «malessere economico e sociale» che la porterà «alla deriva». E nel lungo termine il rischio è anche quello di «problemi significativi per la solvibilità del Governo». Questo il giudizio di Nouriel Roubini, una delle figure di spicco tra i guru economicì del World Economic Forum i Davos, dopo essere stato tra i primi a intuire e spiegare la gravità e l'estensione della crisi economica e finanziaria. 

«Non voglio dire che l'Italia uscirà dall'Unione monetaria, voglio dire che se non farà le azioni giuste, se la sua crescita resterà bassa, se non riuscirà a dare benessere e opportunità alle generazioni più giovani, lentamente andrà alla deriva rispetto ai Paesi che hanno più successo», ha spiegato Roubini. «Se avrete una crescita bassa, tra zero e uno, per svariati anni, questo avverrà perché il Paese non ha portato avanti le riforme che permettono di aumentare il potenziale di crescita», ha affermato l'economista a margine del Forum.

Contrariamente a quanto è avvenuto in Paesi come la Germania, «in Italia e nel Sud dell'Europa le riforme e le ristrutturazioni aziendali sono state modeste. I salari sono aumentati più della produttività, il cambio si è apprezzato e le esportazioni non hanno coperto a sufficienza il deficit delle partite correnti, sono state perse quote di mercato a causa di Cina e India». Quindi a meno che non si acceleri la velocità delle riforme strutturali, «ci sarà una deriva, forse non necessariamente una grave recessione, ma un malessere economico e sociale fatto di stagnazione economica, bassa occupazione, redditi che non crescono». 

Il rischio maggiore per l'Italia è che se non si troverà una soluzione a tutto questo, il deficit e il debito pubblico saliranno e «ci potrebbero essere problemi significativi» anche per la tenuta del Governo. «Non è un rischio per il breve termine - ha aggiunto subito Roubini - ma il Paese «deve fare qualcosa per risolvere radicalmente i problemi di convergenza di crescita» rispetto agli altri big europei. «Avete bisogno di più competitività, di meno burocrazia, di servizi più flessibili, di investimenti nell'innovazione e nella tecnologia, di maggiore produttività. Sono cose che non si fanno da un giorno all'altro, ma bisogna iniziare a farle». 

Roubini si è mostrato anche molto critico su come la zona euro si è mossa a fronte della crisi. «È stato fatto troppo poco e troppo tardi. Gli stimoli sono stati inizialmente troppo deboli perché Paesi come la Germania non li hanno voluti fare e altri come Italia, Spagna, Portogallo e Grecia non se lo potevano permettere a causa dei deficit pubblici». Quindi l'Eurozona si ritrova adesso alle prese con una recessione quasi grave come quella degli Stati Uniti, mentre all'inizio era meno pronunciata. 

A livello globale l'economista prevede una crescita negativa quest'anno perchè «è recessione anche quando un Paese che cresceva del 7% adesso cresce del 2%». Solo «azioni di politica molto forti» potranno riportare a una ripresa nel 2011 - attorno al +3,5% - dopo una «quasi recessione nel 2010».

venerdì, gennaio 09, 2009

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Istruzione, l'Eurostat boccia l'Italia. "Quasi ultima per spesa nella Ue"
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BRUXELLES - Con una spesa per l'istruzione pari al 4,4% del Pil, l'Italia è sestultima nella Ue, prima solo di Spagna, Grecia, Slovacchia, Repubblica Ceca e Romania. Dati rilevati da Eurostat , l'istituto statistico della commissione Europea, secondo i quali nel 2005 la spesa pubblica degli stati membri della UE per l'istruzione è pari, in totale, al 5% del pil. Il dato rilevato da Eurostat considera tutti i livelli di spesa pubblica, locali, regionali e nazionali, e comprende non soltanto le istituzioni scolastiche e universitarie ma anche le altre istituzioni che garantiscono il funzionamento del sistema educativo nazionale: ministeri e dipartimenti della pubblica istruzione, servizi, ricerca. Questi rilevamenti confermano, per alcuni versi, le polemiche seguite alle dichiarazioni del ministro Gelmini sulla spesa per l'istruzione in Italia. Nell'ottobre scorso, nel pieno delle contestazioni, il ministro dell'istruzione spiegava, dati alla mano, che il problema della scuola italiana è che si spende troppo e male. "Non è vero che in Italia si spenda poco per l'istruzione- dichiarava il ministro- anzi siamo tra i primi d'Europa". Ma stando agli ultimi dati, l'Italia, spendendo per l'istruzione il 4,4% del Pil, si situa solo al ventunesimo posto. Meno dell'Italia spendono infatti soltanto Repubblica Ceca (4,2%), Spagna (4,2%), Grecia (4%), Slovacchia (3,8%) e Romania (3,5%). Il dato più importante del rapporto Eurostat non è però la spesa in rapporto al pil, ma quanto effettivamente spende ciascun paese in rapporto al numero dei propri studenti. L'eurostat tiene conto anche di questo, e calcola la spesa educativa per allievo/studente utilizzando come unità di misura lo "standard del potere d'acquisto" (spa), che tiene conto dei diversi livelli di costo della vita. Secondo questo parametro l'Italia si situa al quattordicesimo posto, con una spesa pari a 5.908, dato molto inferiore rispetto a quello di paesi come Austria e Danimarca (8.000 Spa), Giappone (7.100 Spa), USA (10.600Spa). La media Ue è di 5650.