lunedì, dicembre 24, 2007

E' interessante l'articolo su La Repubblica del 23 dicembre 2007

L'Italia non è triste ma è solo schifata

di Eugenio Scalfari

Non è vero che gli italiani siano improvvisamente diventati pigri e tristi. Non è vero che solo piccole minoranze siano ancora animate dalla voglia di intraprendere e di farsi largo nel mondo. Questa è una rappresentazione distorta della realtà, affidata alle rozze domande di rozzi sondaggi.
Gli italiani di provincia e di città hanno voglia di fare e anche di ridere e divertirsi. Di pensare con la propria testa e di non farsi imbonire.
.......
No, colleghi del "New York Times" il nostro non è un Paese né triste né inerte. Semmai è un Paese indignato che non si sente rappresentato oggi come ieri come l'altro ieri e più indietro ancora, fino ai Viceré di triste memoria. L'hanno fatto diventare un Paese anarcoide e allo stesso tempo pronto a farsi cavalcare dai potenti di turno. Ma ci sono ancora - e sono tanti - che rifiutano questi attributi e si aspettano un cambio di marcia e nuove speranze.



sabato, dicembre 08, 2007

De Rita, nel presentare il 41° Rapporto del Censis sulla situazione sociale del paese, ha denunciato "il processo di desublimazione" che sta disgregando l'Italia, "una società mucillagine al posto dello sviluppo del paese". E' interessante l'articolo di Rosaria Amato su La Repubblica del 8 dicembre 2007.

Una società che ha perso le passioni, e che ha solo impulsi: "Abbiamo solo gente che aspira alla presenza, al suo momento di piece, come l'impulso ad esistere fosse l'unico rimasto dentro di noi. Una società mucillagine dove tutte le componenti stanno insieme perché accostate, non perché siano integrate". De Rita parla di "processo di desublimazione": "La libertà diventa disponibilità di se stesso, l'etica un elenco di 128 indicatori, la scuola un parcheggio: stiamo subendo un processo di desublimazione, per cui noi al popolo, e allo sviluppo di popolo, non possiamo più credere". 

Anche interessante è l'articolo di commento di Dario De Vico "Le libere minoranze" sul Corriere della Sera del 8 dicembre 2007.

"...ha ragione De Rita nel riporre le sue speranze nell’azione delle minoranze. Chi non ha bisogno di esercitare il potere per esistere, chi vive e opera in unmondo aperto ha forse a questo punto la responsabilità di rimboccarsi le maniche e cercare di incidere sull’ «inerzia maggioritaria» che avviluppa il Paese. Il futuro non aspetta i pigri."

giovedì, dicembre 06, 2007

"CON UNA LETTERA APERTA AI CANDIDATI ALLE PRIMARIE DEL PARTITO DEMOCRATICO ABBIAMO VOLUTO PROPORRE UNA MODALITA' DI PARTECIPAZIONE INFORMATA ALLA VITA POLITICA. UNA PARTECIPAZIONE CHE CONSENTE DI RACCOGLIERE PROPOSTE E NON SOLOPROTESTE. UNA PIATTAFORMA INFORMATICA CHE PROPONIAMO A TUTTE LE FORZE POLITICHE AFFINCHE' UNA PARTECIPAZIONE INFORMATA DA PARTE DEI CITTADINI RIDUCA LA LORO DISTANZA ED IL LORO DISTACCO DALLA POLITICA PUBBLICA. LA POLITICA ITALIANA NECESSITA DI INNOVAZIONE SIA NEI CONTENUTI CHE NEI PROCESSI. SOLO PROCESSI REALMENTE PARTECIPATI POSSONO ESSERE UNA INIEZIONE DI VITALITA' PER LA DEMOCRAZIA."
Innovare la partecipazione alla politica Care/i tutte/i,da tempo sviluppiamo esperienze e riflessioni intorno ai modelli di partecipazione informata che l'interattività di Internet consente.Queste esperienze di cittadinanza non sono riducibili ad una realtà virtuale parallela, quale second Life; costituiscono invece una concreta modalità di partecipazione propedeutica ed estensiva di quella fisica. Sono diversi gli esempi di social networking: dall'Agenda 21 in rete attivata da molte amministrazioni locali, ai quarantamila genitori, insegnanti e studenti che autoconvocandosi in rete riempirono un sabato pomeriggio Piazza del Duomo a Milano contro la riforma della scuola "Moratti", fino ad arrivare all'eruzione di Grillo. Un processo costituente che, in una democrazia compiuta dopo il secolo delle ideologie e della democrazia bloccata, vuole segnare una svolta, deve scardinare i confini stretti dell'attuale sistema politico. Deve saper proporre forme nuove ed efficaci di partecipazione all'elaborazione degli indirizzi politici e programmatici, e alle scelte conseguenti, in modo da cogliere in tempo reale i segnali di una realtà che muta rapidamente e pone continuamente problemi complessi ed inediti. Inclusione, accesso alle informazioni e alle conoscenze, confronto e valorizzazione delle differenze, sono i fattori costitutivi di forme della partecipazione politica capaci di produrre condivisione, responsabilità e motivazione. Che sappiano coinvolgere il più possibile le diverse sensibilità e le varie competenze in modo da essere in grado di elaborare continuamente codici interpretativi adeguati alla realtà. Quindi contenuti, proposte, non solo critica. La rete Internet può contribuire in modo decisivo alla creazione di queste condizioni. Se i costituenti del Partito Democratico sapranno attivare una pratica di partecipazione informata daranno vita ad un modello di interesse più generale. Che certamente influenzerà positivamente gli sviluppi delle altre dinamiche politiche aggregative. Che certamente concorrerà a migliorare la qualità del confronto politico, sottraendolo alle derive personalistico-plebiscitarie dello spettacolo per riconsegnarlo alla sobrietà di passioni e proposte che si misurano sull'efficacia nel rispetto reciproco. L'appuntamento delle primarie del Partito Democratico deve già costituire una occasione per la "buona politica", per una pratica interattiva che veda nella rete Internet una possibilità di relazione aperta e non una estensione broadcasting-vetrina del rapporto tra personaggio politico e spettatori-elettori. La "piattaforma" che proponiamo ci auguriamo quindi che diventi un patrimonio comune a tutte le culture politiche.
Fiorello Cortiana Gianni Orlandi Stefano Rodotà

domenica, dicembre 02, 2007

Segnalo la mia replica "Un consiglio al professor Frati" pubblicata sul Corriere della Sera del 30 novembre 2007 alla risposta del Prof. Frati, pubblicata sempre sul Corriere della Sera del 29 novembre 2007, al mio articolo sui problemi del Policlinico Umberto I "Policlinico, una ricetta", pubblicato sul Corriere della Sera dell'11 novembre.

giovedì, novembre 22, 2007

giovedì, novembre 15, 2007

Segnalo l'articolo "La curiosità conta più dell'età" di Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera di oggi. A differenza dell'opinione, di moda, tra molti politici attuali, il problema non è la data di nascita ma la curiosità delle persone, che può essere molto viva anche in età avanzata.
*
"La curiosità. Le società aperte sono innanzitutto società curiose, Paesi in cui la curiosità verso il mondo e la meraviglia verso la vita sono tratti comuni, anche di chi ha raggiunto il potere o posizioni prestigiose. Sbaglia chi pensa che il rinnovo della classe dirigente sia innanzitutto e solo un problema di età (un’opinione condivisa dall’analisi che la Fondazione Giovanni Agnelli presenterà sabato al seminario dell’Aspen Institute dal titolo: «Il merito non l’età è il fattore discriminante»). Certo, l’età conta, ma ancor più conta la curiosità."
"La curiosità nasce nella scuola perché se una mente a diciott’anni si spegne è difficile che poi si riaccenda. Ma rifondare la scuola non significa programmi ministeriali, tabelle, contratti, le cose di cui i governi si occupano e che non ne hanno evitato il degrado. E’ giunto il momento di una riflessione più profonda che parta dalla consapevolezza che è la scuola la chiave di volta del nostro futuro."

lunedì, novembre 12, 2007

Segnalo l'articolo "Policlinico, una ricetta" pubblicato sul Corriere della Sera dell'11 novembre 2007

Corriere della Sera
11 novembre 2007
"Policlinico, una ricetta"
di Gianni Orlandi

lunedì, ottobre 29, 2007

Segnalo l'articolo "Se la festa continua" che mi è stato pubblicato sul Corriere della Sera del 29 ottobre 2007, sulle potenzialità dell’ICT per Roma e il Lazio

Corriere della Sera
29 ottobre 2007
SE LA FESTA CONTINUA
di GIANNI ORLANDI
Tecnologia, non solo cinema

domenica, ottobre 28, 2007

Segnalo un interessante post dove vengono riportati dati di una rilevazione dell’Istat su Ricerca & Sviluppo in Italia, diffusi l’11 Ottobre 2007, riferiti alle imprese, alle istituzioni pubbliche e alle istituzioni private non profit nell’anno 2005.
Il post sintetizza bene la rilevazione Istat e consente considerazioni molto utili sulla situazione della spesa per ricerca e sviluppo in Italia.
Ricerca & Sviluppo
{ 27 Ottobre 2007 }
Dopo innumerevoli convegni (molti made Confindustria) e gli allarmi lanciati dal mondo accademico, questa volta, l’11 Ottobre 2007, è stata l’Istat ha diffondere i risultati di una rilevazione su Ricerca & Sviluppo in Italia, riferendosi alle imprese, alle istituzioni pubbliche e alle istituzioni private non profit e analizzando la situazione nell’anno 2005.
Secondo la rilevazione nel 2005 la spesa totale per R&S intra-muros (risultante dalla somma della spesa per R&S sostenuta da imprese, istituzioni pubbliche, istituzioni non profit e università) è stata pari a 15.599 milioni di euro con una incidenza percentuale sul Prodotto interno lordo dell’1,10%. La spesa per R&S nelle imprese, nelle istituzioni private non profit e nelle istituzioni pubbliche (escluse le università) ammonta complessivamente a 10.887 milioni di euro con un aumento del 6,2% in termini monetari rispetto al 2004.
A livello settoriale, il confronto tra i dati del 2004 e del 2005 mette in evidenza un incremento significativo della spesa delle imprese (+7,7 %), un leggero ridimensionamento della spesa delle istituzioni pubbliche (escluse le università) (-0,8 %) e una crescita della spesa sostenuta dalle istituzioni private non profit (da 233 a 330 milioni di euro). I dati di previsione per il 2006 e il 2007 (non disponibili per le università), indicano limitate aspettative di crescita per le spese di R&S (+2,3 per cento nel 2006 e +3,7 per cento nel 2007).
Nel 2005 il settore delle imprese sostiene con 7.856 milioni di euro oltre il 50% della spesa nazionale per R&S. Segue l’università con il 30,2% (4.712 milioni di euro), il settore delle istituzioni pubbliche (17,3%, pari a 2.701 milioni di euro) e, infine, con una spesa di 330 milioni di euro, il settore delle istituzioni private non profit (2,1%).
La distribuzione regionale della spesa mette in evidenza che, anche nel 2005, il Nordovest mantiene un ruolo trainante con il 37,4% della spesa, seguito dal Centro (27,2%), dal Nord-est (18%) e dal Mezzogiorno (17,4%). La spesa totale rimane fortemente concentrata in tre regioni - Piemonte, Lombardia e Lazio - che coprono il 60,9% della spesa delle imprese, il 62% di quella delle istituzioni pubbliche e il 30,9% della spesa sostenuta dalle università. Complessivamente, si concentra in queste regioni il 52,3% della spesa nazionale.
Relativamente al settore delle imprese, la spesa risulta concentrata per oltre la metà (54,3%) nel Nord-ovest, prevalentemente in Lombardia (30,5%) e in Piemonte (20,3%). Nel settore pubblico si osserva, invece, una diversa distribuzione territoriale : il 58,9% dell’attività di R&S delle istituzioni pubbliche si svolge nell’Italia centrale (in particolare nel Lazio) e il 31,1% di quella universitaria nel Mezzogiorno (ndr con effetti pratici forse non “entusiasmanti”).
Nel 2005, la Lombardia ha superato il Lazio, oltre che per il livello di spesa, anche per quanto riguarda la consistenza del personale addetto alla R&S (18,4%, rispetto al 17,5%). Queste due regioni, assieme al Piemonte, assorbono nel 2005 il 46,5% del personale addetto a livello nazionale. Considerando i singoli settori istituzionali, le tre regioni assommano il 54,5% degli addetti alla R&S nelle imprese (27,8% nella sola Lombardia), il 58,1% di quelli che operano nelle istituzioni pubbliche (46,8% nel Lazio) e il 31,1% degli addetti in ambito universitario.
Questo il sunto della situazione, secondo l’Istat, dato che sono curiosa e sicula, sono andata a guardarmi cosa succede in Sicilia (che non è una di quelle messe peggio, rispetto ad altre). Il totale è della spesa è 629,164 (migliaia di euro) rispetto a 3.341.589 della Lombardia, beh si pensa, ok gli imprenditori in sicilia hanno “problemi”, invece, poi se si va a vedere la composizione rispetto alla spesa complessiva del Lazio (2.814.965), ci si accorge che il 51,2% viene dalle istituzioni pubbliche, il 15,5% dalle istituzioni private, il 12,8% dalle università e solo il 10,1% dalle imprese.
Potremmo allora parlare di un luogo comune sfatato? O che comunque quello che “arriva” al mezzogiorno serve a tutto tranne che al suo sviluppo?
Secondo questo studio, chi usufruisce di finanziamenti molto maggiori, direi di gran lunga maggiori, da parte delle istituzioni pubbliche, in un settore strategico ed importante com R&S, a quanto pare non sembra essere il sud o mezzogiorno che dir si voglia, ma il centro d’Italia (Lazio in testa) con investimenti totali di 1.589.283 (58,9%) a fronte di 393.716 (14,6%) verso quello che l’Istat, con una suddivisione molto ampia, chiama il mezzogiorno d’Italia, che comprende (credo) Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna e dove, in questa ulteriore distribuzione, la Campania la fa da padrone con il 6,5% a fronte di percentuali che variano per le restante regioni dal 4,o% (Sicilia) allo o,2%.
Secondo il recente studio annuale della Commissione Europea “The 2007 EU Industrial R&D Investment Scoreboard” gli investimenti delle industrie (solo delle industrie) europee in ricerca e sviluppo sono cresciuti del 7,4 per cento nel biennio 2006/2007 (2,1 punti percentuali in più rispetto al 5,3 registrato lo scorso anno) mentre la crescita mondiale degli investimenti industriali in R&S è stata del 10%, le imprese non europee hanno infatti investito in media una quota pari all’11,1% del loro prodotto.
Oltre ad essere ben lontani dagli altri paesi europei (la Germania è al 2,5%, la Francia al 2,2%) in Italia (1,4%) siamo anche distanti dagli obiettivi della strategia di Lisbona, che prevede un investimento pari al 3% del prodotto interno lordo.
Secondo questo studio le quattro aziende che hanno investito di più al mondo sono americane: la Pfizer (5,8 miliardi di euro nel 2007), la Ford (5,5 miliardi di euro), la Johnson & Johnson e la Microsoft (5,4 miliardi di dollari ciascuno).
Il primato europeo va alla tedesca Daimler Chrysler, quinta nella classifica mondiale con 5,2 miliardi di euro di investimenti nello stesso periodo. Nella classifica delle 1.000 industrie innovatrici realizzata dalla Commissione Ue, l’Italia occupa 48 posizioni, solo 4 delle quali tra i primi 100, Finmeccanica è prima tra le italiane al 17imo posto con 1,86 miliardi di euro, Fiat al 25imo con 1,18 miliardi, Eni all’83imo con 222 milioni e Pirelli al 96imo con 171 milioni.
Le cifre rendono molto meglio di qualsiasi ragionamento il divario esistente.[dati Rapporto Annuale sull’Innovazione]

venerdì, ottobre 26, 2007

E' morto Pietro Scoppola un uomo che ha dato molto al paese.
Mi fa particolarmente piacere ricordare che con Pietro abbiamo fondato nel 1995 l'Associazione "per una cultura di governo" insieme ad altri colleghi (Marcello De Cecco, Tullio De Mauro, Nicolò Lipari, Gianni Orlandi, Natale Papola, Stefano Rodotà, Pietro Scoppola, Giovanni Battista Sgritta, Eugenio Sonnino, Luigi Spaventa, Elio Ziparo)

domenica, ottobre 14, 2007

Riporto l'articolo sulle vicende della Sapienza che mi è stato pubblicato sul Corriere della Sera del 9 ottobre 2007.

09-OTT-2007
CORRIERE DELLA SERA
cronaca di Roma, pag. 1
Direttore: Paolo Mieli

Ateneo, inchieste, rilancio
SULL'ONORE DELLA SAPIENZA
di GIANNI ORLANDI


Alla Sapienza, sono in corso inchieste della magistratura. E' inevitabile un senso di preoccupazione e di malessere in chi ci studia e in chi ci lavora con impegno e senso di appartenenza. Certamente pervade anche tanti cittadini che hanno sempre guardato con rispetto e orgoglio a questa istituzione culturale di prestigio internazionale.
Niente da dire in ordine al giudizio sui fatti, che spetta soltanto agli organi competenti. Qualcosa da auspicare sul come debba agire in questa circostanza l'ateneo. Un principio dovrebbe fungere da guida: onorare l'istituzione universitaria come sede di costruzione e trasmissione della conoscenza, ma anche come luogo di avanzato civismo, vera e propria scuola dei valori di etica civile. Spetta, quindi, a chi governa La Sapienza aprire le porte a chi sta indagando. facilitare il loro compito, mettendo a disposizione ogni documentazione possa rivelarsi utile, favorire in ogni modo l'accertamento, nei tempi più rapidi possibili, della verità e, qualora ci fossero, delle eventuali responsabilità. Ma per tornare a sognare la nostra università come tempio laico dei saperi e della democrazia, serve qualcosa di più. Un'impennata di orgoglio della più grande università d'Europa, un sussulto delle tante energie positive che la popolano per perseguire tre obiettivi: 1) rendere trasparenti procedure e decisioni di spesa, specialmente nel momento in cui si sta avviando un rilevante progetto di acquisizione di arre e costruzione di nuove sedi con una significativa massa di appalti; 2) far trionfare il merito rifuggendo con puntigliosità da ogni fenomeno di famigliopoli nel reclutamento dei giovani; 3) puntare con determinazione ad innestare un impegno straordinario e diffuso per far crescere la qualità nella didattica, nella ricerca, nella gestione.
Queste vicende spiacevoli possono diventare l'occasione per il rilancio della Sapienza. Perché diventi capofila nella necessaria operazione di sviluppo e di recupero di competitività del sistema universitario e di ricerca del Paese. Perché concorra a costruire nella città, e specie nei giovani, la cultura della legalità e il senso delle istituzioni. Perché restituisca alla nozione stessa di istituzione universitaria pubblica la valenza di sede alta di sapienza, dove si guarda ai valori e al futuro, dove si forgiano coscienze e conoscenze per una classe dirigente all'altezza delle sfide della società globale e in grado di innestare quel profondo processo di rinnovamento di cui hanno bisogno il nostro sistema politico, la nostra democrazia e la nostra società.

sabato, luglio 21, 2007

"La corsa dei talenti"
Sul Corriere della Sera del 19 luglio 2007 è stato pubblicato un mio articolo "La corsa dei talenti" sulla necessità che l'università, e, in particolare l'Università La Sapienza di Roma punti, nella società della conoscenza alla qualità e all'eccellenza nell'offerta formativa, nel sostegno alla ricerca, nei servizi agli studenti

venerdì, luglio 06, 2007

Riporto di seguito un mio articolo sui problemi della scuola italiana pubblicato sul Corriere della Sera del 5 luglio 2007
Strategia in cattedra

di Gianni Orlandi

La scuola è terminata ed è tempo di riflessioni. A Roma, al liceo Visconti, è tornato il sette in condotta; nelle scuole superiori aumentano, se pur lievemente, le bocciature rispetto agli ultimi anni, in cui la promozione sfiorava il cento per cento. In molte realtà del paese si verificano con sempre maggior frequenza fenomeni di bullismo. Una studentessa si è rifiutata di essere interrogata senza preavviso e ha chiamato in aiuto il padre con il cellulare; il genitore accorso, invece di rimproverare la figlia, ha preso le sue parti, nella totale assenza di reazione da parte della scuola. Episodi contraddittori, che evidenziano, però, in modo inequivocabile l’esigenza di ridefinire il ruolo della scuola e come esso viene percepito nella nostra società. Occorre ripartire dal principio fondante, la funzione formativa della scuola. Nei suoi aspetti più strettamente didattici, insegnare a leggere, scrivere e far di conto, insomma insegnare ad imparare, con i necessari aggiornamenti di metodi e contenuti in sintonia con i cambiamenti tecnologici e con la globalizzazione della conoscenza. Nei suoi aspetti di educazione sociale, la preparazione all’esercizio dei diritti e dei doveri di cittadinanza in una comunità civile, democratica e solidale.
Quest’ultimo compito, forse il più delicato, significa addestrare i giovani all’impegno, alla responsabilità, al rispetto di sé e degli altri, alla pratica rigorosa delle regole. Le parole d’ordine principali sono due: qualità, e quindi valutazione del merito; valorizzazione della personalità individuale, da accompagnare indissolubilmente al senso di appartenenza ad una collettività di tanti altri individui ai quali va garantito il medesimo diritto di espressione. Per conseguire ciò siamo tutti chiamati a fare la nostra parte. Come genitori dobbiamo proteggere i nostri figli, incoraggiarli a perseguire le proprie aspirazioni, trasmettendo contestualmente il valore del rispetto verso gli altri, verso le istituzioni, a partire dalla scuola e dagli insegnanti, come unica condizione di libertà democratica. Gli insegnanti devono ritrovare slancio e passione professionale, ma devono essere messi in condizione di farlo, recuperando l’autorevolezza nei confronti dei giovani e la dignità del proprio lavoro di fronte alla società, anche attraverso la valorizzazione economica della loro funzione. La politica, le istituzioni nazionali e locali devono costruire il contesto normativo, organizzativo e sociale necessario. A Roma, le istituzioni locali mostrano attenzione a questi problemi, a partire dagli interventi programmati per il decoro dei vecchi edifici scolastici e per la progettazione di qualità dei nuovi, utili segni del valore dell’istituzione scuola. Puntiamo a trasformarla in una consapevolezza diffusa tra i cittadini che la scuola è il servizio pubblico strategico per il futuro. Forse può partire dalla Capitale una mobilitazione generale che punti a ricostruire la scuola come attrice principale nel rilancio del Paese.

Corriere della Sera del 5 luglio 2007

Di seguito riporto il testo della lettera che, a nome del Comitato Promotore “I Saperi per il Partito Democratico”, costituito da numerosi esponenti del mondo dell’università, della ricerca, dell’innovazione, abbiamo inviato il 19 giugno 2007 a Walter Veltroni, chiedendogli di candidarsi immediatamente alla guida del partito Democratico, in modo da evitare le possibili degenerazione del dibattito e dei conflitti trai partiti e nei partiti costituenti.
Lettera a Walter Veltroni

Caro Walter,
ti esprimo la preoccupazione per la situazione politica e del governo e per le prospettive del partito democratico, a nome del Comitato Promotore “I Saperi per il Partito Democratico”, costituito da numerosi esponenti del mondo dell’università, della ricerca, dell’innovazione (in allegato la bozza del nostro manifesto).
Si sta manifestando sempre più uno stato di confusione politica, accompagnato da un disagio crescente dei cittadini nei confronti del governo e del sistema politico in generale. D’altro canto, per quanto attiene al costituendo Partito Democratico, si conferma una resistenza crescente dei vecchi gruppi dirigenti dei partiti ad aprirsi concretamente all’esterno, ad una rinnovata, diretta partecipazione dei cittadini.
A fronte di tutto ciò, crescono la delusione e lo sconforto in tutti quelli che avevano aderito con entusiasmo al progetto di costruire una nuova forza politica, veramente democratica, in grado di offrire una prospettiva stabile di rilancio del paese e del suo futuro di sviluppo e di progresso. Da ultimo, ma certo non per importanza, ci ha allarmato la decisione assunta ieri dal Comitato dei 45 di collegare le liste per l’assemblea costituente al candidato segretario del futuro partito, prefigurando una competizione ricondotta interamente all’interno dei due partiti costituenti, dolorosa per i militanti e inconprensibile per i cittadini, che svuoterebbe e indebolirebbe l’intera prospettiva strategica del Partito Democratico.
Sentiamo che è nostro dovere come cittadini, e lo è ancor di più come popolo dei saperi, fare di tutto per scongiurare questi rischi e ricostruire per il paese le prospettive che merita. C’è una sola possibilità per rimettere in moto il processo sul binario giusto: devi decidere, come auspicano in tanti nel paese, anche oltre le nostre fila, di metterti in gioco personalmente, candidandoti subito alla guida del Partito Democratico. E’ l’unica strada per rompere i giochi e realizzare le condizioni per risollevare il livello del dibattito come dibattito di idee e di strategie e per rilanciare il processo di costruzione del Partito Democratico come processo aperto al nuovo, ai giovani, alle donne, agli anziani, a tutti coloro che vogliono portare il loro contributo e offrire il proprio impegno.
Per queste ragioni e, soprattutto, per restituire speranza a tutti quelli che credono nel cambiamento, ti chiediamo di candidarti subito.
Noi tutti del mondo dei saperi, insieme – siamo certi - a moltissimi altri e alla tua città, ti saremo vicini e ti sosterremo in questa scelta e nell’azione successiva.
Ti invio un caro saluto e un abbraccio a nome di tutte le colleghe e i colleghi.
19 giugno 2007

Gianni Orlandi
Comitato Promotore “I Saperi per il Partito Democratico”

domenica, giugno 10, 2007

Venerdì 8 giugno ho moderato una interessante tavola rotonda sul tema “Innovazione e Nuova Economia” con Dale Kutnick, Senior Vice President Gartner, e altri rappresentanti di importanti imprese dell'ICT, che si è svolta al Festival dell’Innovazione dell’Ara Pacis di Roma.
Hanno partecipato ai lavori:
Dale Kutnick - Senior Vice President Gartner
Andrea Salvati, Industry Leader Finance e BIM (Business Industrial Market) di Google,
Andrea Valboni, National Technology Officer Microsoft Italia,
Antonello Martini, Direttore Tecnico Cape Reply
Fabio Massimo Ginnetti, Responsabile relazioni istituzionali territoriali di Fastweb
Mario Luzzi, Presidente di Zero9
Giandomenico Celata, Direttore Distretto dell’Audiovisivo e dell’ICT e Presidente di Roma Wireless
Sonia Belén Palomo Das Neves, Vice Direttore per il Trasferimento Tecnologico del Parco Tecnológico de Andalucía S.A. – PTA. Di Malaga
Brunetto Tini, Presidente Tecnopolo S.p.A
Davide D’Atri, Direttore di Beatpick
*
Hi! Tech
festival dell’innovazione
Roma, 7-10 giugno 2007
Complesso Museale dell’Ara Pacis
piazza Augusto Imperatore • via di Ripetta

lunedì, giugno 04, 2007

Il motore del Paese incontra il PD. Giovani manager, dottorandi, cervelli in fuga e precari si interrogano: quale futuro per loro nel PD e soprattutto, in Italia?
E' disponibile la registrazione del mio intervento al Dibattito "Il motore del Paese incontra il PD. Giovani manager, dottorandi, cervelli in fuga e precari si interrogano: quale futuro per loro nel PD e soprattutto, in Italia?", che si è svolto a Roma il 4 giugno 2007






Sgnalo l'articolo "Una nuova P2 ricatta la politica debole" di Giuseppe D'Avanzo su La Repubblica del 4 giugno 2007, che chiarisce i retroscena del caso Visco-Speciale
di GIUSEPPE D'AVANZO
Dietro l'affare Visco-Speciale c'è il prepotente riemergere di un ramificato potere occulto
L'errore del viceministro: non rendere pubbliche le ragioni dei cambi voluti a Milano


domenica, giugno 03, 2007

Segnalo l'intervento di Anthony Giddens, il padre della “terza via”, al Festival dell'Economia di Trento, il 2 giugno 2007

DAL WELFARE STATE ALL’INVESTIMENTO IN CAPITALE SOCIALE E UMANO
ANTHONY GIDDENS
02/06/2007

Per il grande sociologo un modello sociale europeo distinto da quello Usa è possibile ma a patto di rinnovare profondamente le vecchie forme di assistenza
Un modello sociale europeo è possibile, ma per averlo accanto all’innovazione economica è necessario anche promuovere un profondo cambiamento del welfare. In futuro le politiche sociali saranno sempre meno standardizzate; dovranno puntare alla prevenzione, promuovere stili di vita e valori “positivi”, offrire agli utenti possibilità di scelta. Questa in sintesi la lezione di uno degli ospiti più attesi del festival dell’Economia, Anthony Giddens, già direttore della London School of Economics e docente di sociologia a Cambridge, nonché “padre” del concetto di “terza via”, ovvero quel processo di riforma del bagaglio di idee e di politiche che sono patrimonio dello schieramento socialdemocratico, dall’Inghilterra agli Usa passando per tanti altri paesi europei e mondiali. Giddens ha esordito con parole di elogio per il festival di Trento, rammaricandosi di non avere avuto lui quest’idea e di non averla realizzata a suo tempo proprio a Londra. Dopo aver brevemente ripercorso l’inizio del suo coinvolgimento attivo in politica, nell’ambito degli incontri organizzati fin dal 1997 dal partito Laburista britannico con i Democratici americani – assieme fra gli altri ai Clinton, ai Blair, a Gordon Brown – e poi via via allargatisi a tanti altri paesi, Giddens è passato ad illustrare i cambiamenti epocali sopravvenuti negli ultimi anni, ovvero: globalizzazione, che per Giddens è sinonimo di più interdipendenza non solo sul piano economico ma anche su quello culturale; nuova economia, sintetizzabile con il dato riguardante gli occupati nei settori dell’agricoltura e dell’industria in Inghilterra, oltre il 40% trent’anni fa, sotto il 15% oggi; infine, un diverso rapporto fra Stato, società civile e cittadino, all’insegna di un crescente desiderio di coinvolgimento delle persone, delle comunità, dei popoli nell’assunzione delle decisioni. Venendo al campo del welfare, Giddens innanzitutto ha fatto piazza pulita delle obbiezioni solitamente sollevate dalla destra, che vorrebbe semplicemente eliminarlo, anche al fine di ridurre la pressione fiscale e quindi di accrescere la competitività. “Gli studi fatti in Europa dimostrano che gli stati più competitivi, come quelli scandinavi, non hanno rinunciato a forme di protezione sociale”, ha tagliato corto. Tuttavia anche Giddens è convinto che il vecchio stato sociale stia finendo. Vediamo allora brevemente quali sono le sue caratteristiche principali. In primo luogo, il welfare tradizionale interviene a posteriori per correggere o limitare gli effetti di eventi negativi già accaduti, come la perdita del posto di lavoro o l’insorgere di una patologia sanitaria. In secondo luogo, il vecchio welfare è “paternalista”: eroga il servizio dall’alto, ed è un servizio altamente standardizzato. Il terzo luogo, il welfare tradizionale è indifferente alla questione degli stili di vita. “Noi oggi abbiamo bisogno di un nuovo welfare – ha ribadito a questo punto della sua analisi Giddens – che deve essere nuovo fin dal nome. Anziché stato sociale potremmo chiamarlo sistema di investimento sociale con funzioni di welfare.” Investimento, dunque, ed in questa parola è racchiusa buona parte di quell’idea di novità, di cambiamento rispetto agli schemi del passato di cui il sociologo britannico si è fatto portatore in questi anni. Vediamo dunque le tre caratteristiche speculari di questo welfare rinnovato. In primo luogo, il nuovo sistema di investimento sociale dovrà avere funzione preventiva. Le sue azioni saranno orientate quindi in maniera prioritaria ad evitare il manifestarsi degli eventi negativi. In secondo luogo, il nuovo welfare dovrà prendere atto che viviamo in una società che si è abituata a scegliere, perché scegliere significa esercitare un potere. Per cui bisognerà introdurre forme di diversificazione dell’offerta, puntare ad un sistema che sia in grado di erogare prestazioni sempre più personalizzate, meno standard. Infine, il nuovo welfare sarà giocoforza interessato a promuovere stili di vita e finanche valori positivi. Esso punterà quindi sull’accrescimento del capitale umano (istruzione, formazione) e del capitale sociale (reti, associazioni di cittadini), e si preoccuperà di correggere quei comportamenti che di fatto generano i problemi e le patologie, ad ogni livello. Dai problemi legati all’obesità o al cancro, prodotti da abitudini e stili di vita nocivi, ad un grande “macroproblema” come quello del surriscaldamento del pianeta, che impone a tutti i cittadini di cambiare rotta, di evitare quanto più possibile quei comportamenti le cui ricadute sono negative per tutta la società, come un consumo eccessivo di energia o un uso smodato dell’auto. In altre parole: il nuovo welfare sarà un welfare “attivo”, con caratteristiche positive, che non si limiterà a cercare di rimuovere le cause dell’infelicità ma di stimolare comportamenti e azioni utili all’intero corpo sociale. Qualche indicazione ancora sul “che fare”, prendendo ad esempio un settore specifico, quello dei problemi causati dalle cattive abitudini alimentari : bisognerà rivolgersi innanzitutto ai bambini, con campagne mirate, perché certi problemi cominciano a manifestarsi fin dalla tenera infanzia, quando gli individui sono più facilmente vittime di campagne promozionali spregiudicate. Ma bisognerà agire anche sul mondo degli adulti, ad esempio regolamentando certe attività commerciali ed esercitando forme di pressione o di controllo sulle imprese. In conclusione, insomma, un sistema sociale europeo, che non si rassegni agli enormi squilibri sociali che si registrano oggi negli Stati Uniti, e che possa essere utile anche a paesi come India e Cina, che stanno sperimentando assieme ad una crescita accelerata delle loro economie anche l’insorgenza di nuove forme di disuguaglianza, è possibile. Bisogna avere però il coraggio di cambiare.
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"Il Partito democratico non può ignorare l’era digitale"

del sottosegretario Beatrice Magnolfi
su Europa del 30.5.2007
Riporto un interessante articolo di Fiorello Cortiana sul Partito democratico visto dal Nord
Il Partito democratico visto dal Nord

Fiorello Cortiana
Consulta sulla Governance di Internet Ministero dell'Innovazione

I tempi e le modalità della costituzione del Partito Democratico non possono essere dettati dagli equilibri parlamentari prodotti da una legge elettorale disgraziata: il risultato elettorale ci dice che al Nord è già tardi. Così il protagonismo degli amministratori del Nord va considerato una risorsa ed una opportunità proprio perché si mette in rete per discutere regole e contenuti della costituente democratica.
Non è un riflesso della deriva personalistica plebiscitaria, la stessa che ha depotenziato le assemblee elettive e che ha visto Berlusconi non essere causa bensì l'effetto più probabile della crisi di forma partecipativa e di contenuti dei partiti popolari . Qui al Nord per chi pensa ancora la politica pubblica come rispondente ad interessi generali la politica organizzata, con le sue gelosie e le negoziazioni di presunte rendite di posizione, costituisce il fattore di conservazione più prepotente oggi in campo a fronte delle nuove sfide della società globale, digitalizzata ed interattiva. Non possiamo più ignorare che già oggi l'economia Europea è costituita al 70% da servizi, proviamo a pensare, quante relazioni, quanta informazione, quanta comunicazione, quanta conoscenza e quanto digitale in rete vi è in quel 70%, mentre infrastrutture, normative, rappresentanze associative, procedure di negoziazione, welfare e politiche pubbliche, sono ancora riferite al modello industriale e alle narrazioni ideologiche dello scorso secolo. I Sindacati rappresentano il lavoro dipendente e i pensionati, la Confindustria le imprese, così milioni di partite IVA sono lasciate a sé stesse. La questione dell'innovazione quindi interroga direttamente la politica ed i suoi fondamenti proprio perché non riducibile a questione settoriale per tecnocrati e "smanettoni". L'Italia non dispone di una politica per cogliere le sfide e le opportunità della "società della conoscenza", le culture politiche del paese non sono adeguate a interpretare e rappresentare la novità sistemica e non settoriale della produzione di valore nell'era digitale e nella sua convergenza interconnessa in rete. Abbiamo bisogno di costruire e condividere un retroterra comune nel quale si riconoscano tutti i portatori di interessi nelle loro differenze, così come è accaduto nel secolo scorso per la società industriale/manifatturiera. Questa non è una oziosa pretesa, le esperienze riformiste hanno governato e governano al Nord solo quando interpretano e rappresentano i processi e gli attori dell'innovazione, altrimenti prevalgono logiche settoriali di interlocuzione economico/finanziaria e opinioni pubbliche atomizzate, semplificate ed impressionabili.
Pensate: la nuova Fiera a Rho- Pero, voluta e decisa dall'unica giunta regionale lombarda di centrosinistra tre lustri or sono, ora inizia a generare anche un indotto circostante. Bene, a Rho, tradizionale roccaforte del centrosinistra la Sindaco Pessina ha perso le elezioni perché ha costruito un campo nomadi organizzato e a numero chiuso mentre a Milano, dove le amministrazioni di centrodestra li lasciano allo sbando per la città, perdiamo comunque. Morale: al Nord i cittadini non affidano il loro futuro, le loro aspettative e le loro insicurezze al centrosinistra. Da qui, dalla territorialità federale, dobbiamo partire per costruire le forme e le ragioni del Partito Democratico perché non dipenda dagli equilibri contingenti delle assemblee istitizionali elettive.
In Francia Sarkozy è stato l'alternativa e l'evoluzione del centrodestra stesso proprio mentre governava e senza essere il Premier, da noi la definizione tempestiva di una leadership per il Partito Democratico è vista come disturbo del guidatore, l'ingenuo o malizioso viatico per governi istituzionali. Per chi,
qui al Nord, pensa ancora la politica pubblica come rispondente ad interessi generali la politica organizzata, con le sue gelosie e le negoziazioni di presunte rendite di posizione, costituisce il fattore di conservazione più prepotente oggi in campo a fronte delle nuove sfide della società globale, digitalizzata ed interattiva. Non è una questione di fretta o meno, chi vuole partecipare alla costituente democratica vuole sapere di quale quota di sovranità disporrà con la sua iscrizione, le astensioni elettorali ci dicono anche questo. Tanto più un processo di partecipazione sarà aperto, quindi senza alternative precostituite, inclusivo, informato e quindi consapevole, tanto più alta e adeguata alle sfide sarà la sua qualità politica. Qui la rete non è la virtualità sostitutiva e contrapposta ai luoghi di partecipazione come in Second Life, ne costituisce, invece, una complementarietà. La partecipazione informata in rete non è una indebita ingerenza ma una partecipazione diretta, essa costituisce il presupposto di risignificazione e di ridefinizione delle forme e dei luoghi, nei processi di decisione politica sia nella scelta dei fondamenti valoriali, che negli indirizzi programmatici, piuttosto che dei candidati e dei leader.
Fiorello Cortiana – Consulta sulla Governance di Internet Ministero dell'Innovazione
Suggerisco la lettura dell'articolo
"La destra giacobina a passo di carica"
di EUGENIO SCALFARI La Repubblica del 2 giugno 2007»

E' un articolo che ricostruisce in modo chiaro la vicenda Visco-Guardia di Finanza e contiene considerazioni monto condivisibili sulla nostra classe dirigente

"La maionese è impazzita. Quando avviene questo incidente culinario (e può accadere anche se le uova sono fresche di giornata) non c'è che buttarne il contenuto e ricominciare pazientemente da capo. Un'altra immagine dello stesso fenomeno che ho usato qualche mese fa è quella dello specchio rotto. Lo specchio è uno strumento che serve a riflettere l'immagine. Se si rompe in tanti frammenti l'immagine non c'è più e sopraggiunge una sorta di cecità, sia che si tratti d'un soggetto individuale sia - peggio ancora - d'un soggetto collettivo. Ma nel caso nostro, voglio dire nella società italiana, nelle forze politiche e sociali che ne sono parti rilevanti, nella classe dirigente che dovrebbe guidarla ed esserne punto di riferimento e di esempio, non ci sono più nemmeno i frammenti di quello specchio. Si direbbe che un cingolato ci sia passato sopra e l'abbia polverizzato. Così si procede a tentoni, animati solo dall'istinto di sopravvivenza, dagli spiriti animali, dalla psicologia del branco, dai legami corporativi. La razionalità non fa più parte del nostro bagaglio intellettuale e morale. È stata picconata da tutte le parti la razionalità; accusata di essere all'origine dei delitti e del più grave tra tutti - quello della superbia. Così la luce della ragione è stata spenta, nuove ideologie si sono installate al posto di quelle crollate in rovina, fondamentalismi d'ogni tipo hanno preso il posto della tolleranza e della certezza del diritto.
I circuiti mediatici hanno dato mano a questa devastazione e salvo rarissime eccezioni ancora continuano in questa funzione amplificatoria e istigatrice del peggio, accreditando e ventilando versioni dei fatti prive di verità e di ragione. Questo complesso di circostanze ha toccato il suo culmine nel conflitto in atto tra il governo e il generale comandante della Guardia di finanza, Roberto Speciale. Un conflitto certamente grave perché motivato da ragioni tutt'altro che futili, ma che sta coinvolgendo le massime istituzioni repubblicane in un contesto, appunto, di impazzimento generale sapientemente alimentato da una psicologia del tanto peggio tanto meglio che ha ora raggiunto livelli mai visti prima. Ci occuperemo dunque di questa incredibile vicenda cercando di chiarirne gli elementi di fatto con la massima obiettività possibile in questi chiari di luna. Non senza avvertire che essa è soltanto l'ultimo episodio d'una serie che costella da anni il costume nazionale gettando nello sconforto tutte le persone di buona fede e di buona volontà che costituiscono ancora la maggioranza del Paese e assistono impotenti e senza voce allo scempio della ragione. Sarò conciso nel rievocare fatti già noti ma spesso trascurati o volutamente stravolti. E comincio dalla fine, cioè da quanto è avvenuto ieri, 2 giugno, festa della Repubblica. La giornata è cominciata malissimo. A Roma nella tribuna dalla quale le autorità dello Stato assistevano alla parata delle Forze armate mentre sfilavano i vari corpi, le storiche bandiere dei reggimenti con i medaglieri guadagnati sui campi di battaglia e nelle rischiose missioni di pace, andava in scena una lite continua e sommamente disdicevole tra i rappresentanti dei due schieramenti politici, seduti alle spalle del presidente della Repubblica. Poco dopo il capo dell'opposizione, Silvio Berlusconi, interrogato dai giornalisti sull'intenzione di chiedere udienza al Capo dello Stato per rappresentargli una situazione definita di "attentato alla democrazia" da lui e da tutti gli altri componenti del centrodestra, rispondeva: "Quella visita al Quirinale sarebbe nei nostri desideri, ma purtroppo non c'è più nessuna istituzione che ci dia garanzie d'indipendenza: la sinistra le ha occupate tutte". Affermazione della quale è superfluo segnalare la gravità e che, pronunciata da chi ha guidato il governo per cinque anni e da un anno guida l'opposizione, segnala - essa sì - un degrado democratico che colpisce il presidente della Repubblica in prima persona e il suo ruolo di massima garanzia. Prodi dal canto suo, nel corso di un drammatico Consiglio dei ministri avvenuto il giorno prima, di fronte alle reiterate divisioni sull'uso delle risorse disponibili, aveva detto: "Se si continua così io me ne vado, ma non vi illudete pensando a soluzioni dopo di me perché dopo di me ci sono soltanto le elezioni". Si può capire il perché di questa affermazione, volta a richiamare all'ordine gli alleati riottosi, ma non toglie che si tratti d'una forzatura poiché non spetta a Prodi stabilire che cosa potrebbe avvenire dopo le sue eventuali dimissioni; spetta soltanto al Capo dello Stato dopo che abbia consultato i gruppi parlamentari. Quanto a Napolitano, egli ha più volte ripetuto che non intende sciogliere le Camere con la vigente legge elettorale che le rende ingovernabili e comunque senza prima aver accertato l'esistenza o meno d'una maggioranza parlamentare che possa dare fiducia ad un governo istituzionale insediato per formulare una nuova legge elettorale e adempiere ai compiti urgenti che incombono sulle materie dell'economia, della finanza pubblica e della sicurezza nazionale. Infine lo stesso Napolitano ha dichiarato che il tema della Guardia di Finanza e della rimozione del suo comandante generale esulano dalle sue competenze. In quelle stesse ore, nel corso d'un convegno dei giovani industriali a Santa Margherita, Gianfranco Fini insultava pesantemente il ministro dell'Industria, Bersani, ottenendo dalla platea un'ovazione da curva sud dello stesso tipo di quelle ottenute da Berlusconi a Vicenza alcuni mesi fa sotto lo sguardo allora allibito di Montezemolo e del vertice della Confindustria. Spettacolo preoccupante, quello di Santa Margherita; non perché gli industriali non possano applaudire un uomo di partito che esprime le sue idee, ma perché quell'uomo di partito è lo stesso che ha condiviso quella politica che ha portato il reddito nazionale a crescita zero, il debito pubblico a risalire, l'avanzo primario del bilancio a scomparire, la pressione fiscale ai suoi massimi, i fondi per le infrastrutture inesistenti e le liberalizzazioni interamente inevase. Questo, ad oggi, il grado di impazzimento di quella maionese di cui si è parlato all'inizio. Ma ora risaliamo a quanto è accaduto tra il vice ministro delle Finanze e il generale Speciale. Ecco i fatti nella loro crudezza. 1. Speciale presenta a Visco qualche mese fa un piano di avvicendamenti comprendenti l'intero quadro di comando della G. d. F. Motivazione: è prassi che ogni tre anni gli incarichi siano avvicendati per ragioni di funzionalità. 2. Visco esamina il piano e vede che l'avvicendamento riguarda tutti i comandi salvo quelli di Milano e della Lombardia. Ne chiede ragione. Speciale, in ottemperanza, si impegna a riformulare il piano includendovi i comandi della Lombardia. 3. Visco sa benissimo il motivo dell'esclusione dei generali e dei colonnelli che hanno incarichi dirigenti a Milano: si è formato da anni in quella provincia un gruppo di potere collegato con il comando generale di Roma. Risulta a Visco che quegli ufficiali abbiano "chiuso gli occhi" su gravissime irregolarità verificatesi nel sistema delle intercettazioni telefoniche, avvenute nel corso di scalate finanziarie a banche e a giornali. Alcuni di quei documenti sono stati trafugati e consegnati a giornali di parte per la pubblicazione. In alcuni casi le intercettazioni non sono neppure arrivate all'ufficio del Pubblico Ministero ma trafugate prima e consegnate ai giornali senza che la magistratura inquirente ne avesse preso visione. 4. Passano i giorni e le settimane ma Speciale non consegna il nuovo piano di avvicendamento. 5. Nel frattempo lo stesso Speciale avvisa, all'insaputa di Visco, il procuratore della Repubblica di Milano che i comandi della G. d. F. milanese stanno per essere sostituiti. Il procuratore si preoccupa per i nuclei di polizia giudiziaria che operano ai suoi ordini effettuando inchieste delicate e importanti. Speciale lo invita a mettere per iscritto quelle preoccupazioni. Arriva la lettera del procuratore. Speciale la mostra a Visco. 6. Visco, dopo aver riesaminato la pratica, telefona a Speciale per manifestare la sua sorpresa e il suo malcontento. Speciale mette in vivavoce la telefonata alla presenza di due alti ufficiali che ascoltano la conversazione. 7. Il tribunale di Milano, richiesto di verificare lo stato dei fatti in via di accertamento, esclude che esista alcuna indebita interferenza da parte di Visco. 8. Speciale rende pubblico il conflitto in atto presentandolo come un'interferenza di Visco sull'autonomia della G. d. F. Di qui i seguiti politici che conosciamo e che portano all'autosospensione di Visco dalla delega sulla G. d. F. e alla rimozione di Speciale dal comando generale per rottura del rapporto fiduciario tra lui e il governo. Dove sia in questa arruffata vicenda l'attentato alla Costituzione e alla democrazia denunciato con voce stentorea da Berlusconi e da tutti i suoi alleati, Casini compreso, è un mistero. Il vice ministro delle Finanze aveva - ed ha - il fondato sospetto di gravi irregolarità compiute da alcuni comandi collegati con il comando generale. Rientra pienamente nei suoi poteri stimolare il comando generale ad avvicendare i generali non affidabili. Alla fine, accogliendo le preoccupazioni del procuratore di Milano, lo stesso Visco consente ad escludere i comandi milanesi dall'avvicendamento dei quadri nel resto d'Italia. Tra i dettagli (dettagli?) incredibili c'è quella telefonata messa in vivavoce all'insaputa dell'interlocutore ed ascoltata da due ufficiali di piena fiducia dello Speciale. Basterebbe questo dettaglio a rimuoverlo dal comando. Del resto - e purtroppo - non è la prima volta che il comando generale della G. d. F. dà luogo a gravissimi scandali. Almeno in altre due occasioni dovette intervenire la magistratura penale e fioccarono pesanti condanne di reclusione. Ovviamente ciò non lede il valore e l'affidabilità di quel corpo militare, così come i tanti casi di pedofilia dei preti non vulnerano l'essenza della Chiesa quando predica il Vangelo. Certo ne sporca l'immagine e quindi danneggia fortemente la Chiesa. Così le malefatte di alcuni generali e perfino del comandante generale pro-tempore non inficiano l'essenza d'un corpo chiamato a tutelare le finanze dello Stato ma certamente ne sporcano l'immagine. Quanto a Visco, quando il conflitto si è fatto rovente tracimando nella politica e in Parlamento, ha restituito la delega in attesa che si pronunci la magistratura di Roma che nel frattempo ha aperto un'inchiesta contro ignoti su quel tema. C'è un'orchestrazione sapiente in tutto questo. La ricerca della spallata che tarda a venire. L'uso delle proteste provenienti dai tanti interessi corporativi. I danni gravi dell'eterno litigio all'interno del governo e della coalizione che lo sostiene. Il voto elettorale certamente sfavorevole al centrosinistra specie nel Nord. Il riemergere del massimalismo della Lega e dei falchi berlusconiani. Le rivalità fra i riformisti del centrosinistra per la leadership del Partito democratico. La sinistra radicale imbizzarrita. C'è un paese che non ha più una classe dirigente ma solo veline e velini disposti a tutto pur d'avere due minuti su un telegiornale e un titolo di prima pagina su un quotidiano. Possiamo esser tranquilli in mezzo a questo "tsunami"? Due punti fermi negli ultimi tre giorni ci sono stati. Il primo è la correttezza e la forza di Giorgio Napolitano di fronte agli sguaiati tentativi di coinvolgerlo e il richiamo del Capo dello Stato al principio della divisione dei poteri che rappresenta il cardine dello Stato di diritto e che, in verità, Berlusconi ha calpestato e calpesta da dieci anni a questa parte. Le leggi "ad personam" e la sua prassi di governo lo provano a sufficienza, quale che sia in proposito l'opinione della nuova borghesia sponsorizzata e immaginata da Montezemolo e dal giovane Colaninno. Il secondo punto di tranquillità è venuto dalle Considerazioni finali esposte il 31 maggio dal governatore della Banca d'Italia. Draghi, con una prosa secca quanto lucida e documentata, ha segnalato le luci e le ombre dell'economia italiana distribuendole equamente tra la classe politica, le parti sociali, gli operatori economici. Ha dato a ciascuno il suo, nessuno è stato privato dei riconoscimenti meritati e del fardello di critiche altrettanto dovute. Personalmente temevo che il tecnocrate Draghi si mettesse sulla scia della protesta confindustriale legittima ma sciupata dalla salsa demagogica servita a piene mani nell'Auditorium di Roma e in quello di Santa Margherita. Non è stato così e ne sono ben lieto. Draghi ha reso un servizio al paese, come ha fatto Mario Monti in altre occasioni. Come fece Ciampi nelle varie tappe della sua vita al servizio delle istituzioni. Queste persone ci danno calma e recuperano la morale e la ragione. Seguendo questa traccia si potrà forse costruire uno specchio nuovo e recuperare un'immagine decente di noi stessi e d'un paese deviato dai cattivi esempi a ingrandire il fuscello che sta nell'occhio altrui senza occuparsi della trave che acceca il proprio."
Manifesto del Comitato Promotore “I saperi per il Partito Democratico”
Bozza 21 maggio 2007

Un nuovo ruolo protagonista del mondo dei saperi
Come mondo dei saperi vogliamo contribuire da protagonisti alla nascita del Partito Democratico e, più in generale, alla riforma della politica. Intendiamo, quindi, partecipare attivamente, con un nostro contributo progettuale e di azione, per affermare alcuni obiettivi prioritari:
· il processo di costruzione del Partito Democratico deve coincidere con l'avvio di una vera e propria rifondazione del rapporto tra politica e cultura, tra politica e società;
· il nuovo soggetto politico deve rappresentare un autentico rinnovamento del modo di fare e di immaginare la politica;
· nella società della conoscenza il mondo della politica deve guardare al mondo dei saperi come ad un settore strategico per lo sviluppo e per la qualità della società, come ad un prezioso e irrinunciabile serbatoio di idee, di apporti, di competenze per costruire una strategia consapevole di progresso.

Il Partito Democratico che sogniamo e auspichiamo
· Un partito che non nasca da alchimie di vertice, ma sia aperto al protagonismo diretto della gente, come è stato nelle primarie, che torni ad appassionarsi alla discussione e al confronto libero, non piegato ai tatticismi o agli interessi contingenti, che ridefinisca propri principi ai quali ispirare scelte e azioni nell’interesse generale.
· Un partito che sia in grado di elaborare e aggiornare codici interpretativi adeguati di una società attraversata da cambiamenti continui e sempre più rapidi, e di muoversi con una sicura direzione di rotta, che sia capace di interpretare esigenze, bisogni, aspettative, sogni, che sia in grado di parlare i nuovi linguaggi del popolo della rete.
· Un partito che rimetta, quindi, al centro la conoscenza e l’innovazione valorizzando, con politiche decise, i centri di formazione e di elaborazione del sapere, ma anche integrando il mondo dei saperi al suo interno nell’obiettivo di dare continuamente risposte adeguate alle sfide inedite e alle tensioni che il mondo globalizzata pone.
· Un partito con un nuovo DNA a partire dal modo di operare, che si chiami democratico perché facilita e favorisce l'accesso alle scelte e alle decisioni, perché è diretto in pari misura da donne e da uomini, perché vi trovano rappresentanza giovani e anziani, cittadini italiani e persone che non lo sono, ma vivono in Italia.

Affermiamo una nuova concezione del welfare adeguato alla società della conoscenza e alle sfide della società globale.
Nel nostro tempo, realizzare condizioni di qualità sociale rende indispensabile espandere e ampliare le politiche tradizionali di welfare (assistenza, previdenza, etc.), in modo da affrontare le problematiche cruciali per assicurare prospettive di sviluppo e di progresso. Senza questo orizzonte, capace di puntare sul futuro, si rischierebbe di garantire soltanto tutele di corto respiro e inadeguate a sviluppare efficaci politiche di inclusione sociale e di rinnovamento della società.
Centrare i nodi strategici per una nuova nozione di welfare, significa scegliere l’università, la ricerca e l’innovazione come priorità politica e affermare la qualità della sanità come diritto della persona.

Scegliere l’università, la ricerca e l’innovazione come priorità politica.
Nella competizione globale l’innovazione è fattore strategico, pertanto la conoscenza assume un ruolo fondamentale. Occorre attivare politiche che rilancino e rafforzino il ruolo dei luoghi del sapere, le università e i centri di ricerca, come centri di qualità e di eccellenza, in grado di rispondere ai bisogni del paese, attraverso: maggiori risorse finalizzate; politiche che puntino a valorizzare il merito e le competenze; riorganizzazione della didattica; forti immissione di giovani e di talenti, puntando anche all’internazionalizzazione; progettazione e realizzazione di un piano integrato di riforme e di una nuova governance adeguate.
L’università deve ritrovare la sua missione di centro di elaborazione e diffusione del sapere, ma deve anche diventare veicolo di progresso dell’individuo, della società, dell’ambiente. Deve diventare istituzione culturale viva, partecipe, non autoreferenziale, aperta alle vocazioni del territorio e ai bisogni della persona. Occorre creare una alleanza stabile tra università, istituzioni, imprese per lo sviluppo e per una competitività territoriale compiuta. Si gioca qui l’autentica prospettiva per il mezzogiorno e per le aree depresse, per l’emancipazione degli strati deboli della società e per una reale inclusione sociale, per l’affermazione di un nuovo welfare.

Occorre rifondare il percorso di costruzione del Partito Democratico come “costituente di popolo”
Nelle ultime settimane e, in particolare, in occasione dei congressi DS e Margherita, si sono intensificati l’impegno e l’attenzione attorno alla costruzione del Partito Democratico.
Tutto ciò, però, è rimasto sostanzialmente all’interno dei confini dei partiti, troppo spesso nell’ambito dei soli gruppi dirigenti. Non si è realizzata, insomma, quell’apertura alla società, quel coinvolgimento di soggetti sociali e di movimenti, e, quindi quella “costituente di popolo”, che molti di noi hanno immaginato e auspicato come percorso per la costruzione di un nuovo Partito veramente Democratico.
Ora, i gruppi dirigenti hanno impresso una accelerazione notevole al processo e hanno definito i passi formali, decidendo di convocare per il prossimo 14 ottobre l’Assemblea costituente del Partito Democratico.
Dobbiamo invertire la rotta per rifondare questa fase costituente come una straordinaria occasione di partecipazione e di raccolta e di valorizzazione delle idee, dei bisogni, dell’energia e delle creatività di tanta parte di popolo che vuole esserci, a partire, ma anche oltre il popolo delle primarie per Prodi.
Vogliamo partecipare per contare, nella formazione delle decisioni e fino alla definizione di un nuovo modo di costruire i gruppi dirigenti del nuovo Partito Democratico. Se nascessero soltanto come frutto di scelte e mediazioni dei vertici dei DS e della Margherita, non potrebbero che guidare il nuovo Partito alla vecchia maniera.

Scendiamo in campo con la nostra iniziativa come mondo dei saperi
Costruiamo insieme le azioni necessarie per realizzare i nostri obiettivi:
definire il “Manifesto” contenente le nostre priorità programmatiche e organizzative da prospettare e proporre alle forze politiche, ai soggetti e ai movimenti impegnati nella costruzione del Partito Democratico; sollecitare il confronto su di esso anche con i nostri colleghi che hanno scelto un percorso politico diverso nell’Unione, in linea con la vocazione unitaria del mondo dei saperi per la riforma e il rinnovamento della politica,
organizzare la nostra presenza, il nostro apporto e la nostra partecipazione, dialogando con tutti, in più sedi possibili, in modo da far contare positivamente e più incisivamente il ruolo protagonista del mondo dei saperi;
trasformare il Gruppo di coordinamento in Comitato promotore “I saperi per il Partito Democratico” ed estendere le adesioni avvalendosi delle reti di rapporti scientifici, professionali e interpersonali di ciascuno di noi, nella consapevolezza che più siamo e più contiamo, puntando sulla vocazione unitaria del nostro mondo per la riforma e il rinnovamento della politica, come possibile filo di dialogo e rapporto costruttivo anche con i nostri colleghi che hanno scelto un percorso politico diverso;
formare un Gruppo organizzativo di referenti che faciliti e renda più efficiente la gestione e lo sviluppo delle attività.

Riferimento: Gianni Orlandi (cell. 3488097609, email: gianni.orlandi@uniroma1.it)
Lunedì 21 maggio 2007 incontro del Gruppo di coordinamento "I saperi per il Partito Democratico"
Lunedì 21 maggio 2007 alle ore 17.30 presso l’Aula Conversi del Dipartimento di Fisica dell’Università di Roma La Sapienza, si è svolto l’incontro del Gruppo di coordinamento "I saperi per il Partito Democratico", per riprendere il nostro cammino e portare il nostro contributo fattivo e diretto alla costruzione del nuovo Partito Democratico.
Queste sono le decisioni emerse:
Siamo consapevoli delle difficoltà, che si sono determinate in questi mesi e che hanno fortemente attenuato gli entusiasmi dell’esperienza delle primarie di Prodi. Il dibattito è rimasto sostanzialmente all’interno dei confini dei partiti, troppo spesso nell’ambito dei soli gruppi dirigenti. Non si è realizzata, insomma, quell’apertura alla società, quel coinvolgimento di soggetti sociali e di movimenti, e, quindi quella “costituente di popolo”, che molti di noi avevano immaginato e auspicato come percorso per la costruzione di un nuovo Partito veramente Democratico.
Siamo, però, determinati ad esserci e a contare perché riteniamo che sia importante il contributo che possiamo apportare, anche sulla base della vocazione unitaria del nostro mondo per la riforma e il rinnovamento della politica, come possibile filo di dialogo e rapporto costruttivo anche con i nostri colleghi che hanno scelto un percorso politico diverso.
Nel corso della riunione, abbiamo discusso una bozza di “Manifesto” contenente le nostre priorità programmatiche e organizzative e abbiamo deciso di costituirci in Comitato Promotore “I saperi per il Partito Democratico”, per meglio dispiegare la nostra azione ed essere presenti nel dibattito e negli incontri con le forze politiche, con gli altri Comitati ed Associazioni che si stanno organizzando, con i soggetti e i movimenti impegnati nella costruzione del Partito Democratico.
Le adesioni al Comitato Promotore “I saperi per il Partito Democratico” possono essere inviate all'email gianni.orlandi@uniroma1.it, dove è possibile anche inviare eventuali contributi e suggerimenti per il “Manifesto”.

E' importante diffondere il Manifesto attravreso le reti di rapporti scientifici, professionali e interpersonali di ciascuno, in modo da raccoglieere il maggior numero di adesioni. Più siamo e più contiamo nel processo di costruzione del nuovo partito, anche in rapporto alle scadenze dell’Assemblea costituente romana e nazionale.

lunedì, maggio 21, 2007

Gruppo di coordinamento “I saperi per il Partito Democratico”
Incontro organizzativo: lunedì 21 maggio 2007 alle ore 17.30 presso l’Aula Conversi del Dipartimento di Fisica, Edificio Marconi - Università La Sapienza – Piazzale A. Moro 5
Nelle ultime settimane e, in particolare, in occasione dei congressi DS e Margherita, si sono intensificati l’impegno e l’attenzione attorno alla costruzione del Partito Democratico.
Tutto ciò, però, è rimasto sostanzialmente all’interno dei confini dei partiti, troppo spesso nell’ambito dei soli gruppi dirigenti. Non si è realizzata, insomma, quell’apertura alla società, quel coinvolgimento di soggetti sociali e di movimenti, e, quindi quella “costituente di popolo”, che molti di noi hanno immaginato e auspicato come percorso per la costruzione di un nuovo Partito veramente Democratico. Le stesse dolorose fratture, determinatesi all’interno dei DS, sono state vissute da molti di noi e dalla gente essenzialmente attraverso i messaggi mediatici di giornali e televisioni. Né può essere considerata autentica e fattiva partecipazione la presenza realizzata nei congressi di sezione dagli iscritti DS, senza poter incidere in alcun modo nelle scelte, a fronte di un evento di portata storica quale la separazione e l’uscita dal Partito di molti iscritti e militanti per la formazione di un altro movimento politico.
Ora, i gruppi dirigenti hanno impresso una accelerazione notevole al processo e hanno definito i passi formali, decidendo di convocare per il prossimo 14 ottobre l’Assemblea costituente del Partito Democratico. Si stanno sviluppando diverse iniziative, da ultimo quella che si è svolta il 10 maggio scorso, presso la sede dell’Ulivo a SS. Apostoli in cui è stato presentato un “Appello per il Partito Democratico dell’Area Sapere”, sottoscritto ancora una volta da 20 firmatari appartenenti ai gruppi dirigenti dei due partiti.
Nel mese di luglio dello scorso anno ci siamo costituiti in Gruppo di coordinamento ”I saperi per il Partito Democratico” per portare un contributo fattivo e diretto come mondo dei saperi, dell’università, della ricerca e dell’innovazione. Abbiamo individuato alcune priorità programmatiche, abbiamo partecipato agli appuntamenti cittadini, regionali e nazionali per prospettare il nostro contributo di idee e di partecipazione. Poi tutto si è sostanzialmente trasferito nelle strette sedi dei Partiti DS e Margherita e nei loro gruppi dirigenti per lo svolgimento dei congressi.
E’ giunto il momento di riprendere il nostro cammino con determinazione e persino con testardaggine, per esserci e per contare. Le numerose adesioni al Gruppo di coordinamento e l’ampia e attiva partecipazione hanno confermato quanto siano diffuse e condivise l’esigenza e la volontà di un impegno del mondo dei saperi, dell’università, della ricerca e dell’innovazione, per la costruzione del Partito Democratico. Gli eventi che si sono svolti, le criticità e le difficoltà, le fratture che si sono determinate, ci indicano quanto sia ampio e profondo il bisogno del costituendo Partito Democratico di poter contare sul nostro apporto, sul nostro contributo, e anche, sulla vocazione unitaria del nostro mondo per la riforma e il rinnovamento della politica, come possibile filo di dialogo e rapporto costruttivo anche con i nostri colleghi che hanno scelto un percorso politico diverso.
Per questo motivo, lunedì 21 maggio 2007 alle ore 17.30 presso l’Aula Conversi del Dipartimento di Fisica, Edificio Marconi - Università La Sapienza – Piazzale A. Moro 5, si svolgerà un incontro per discutere di queste questioni e darci un programma di lavoro.

domenica, maggio 06, 2007

Berlusconi: "Ddl Gentiloni rovina Mediaset. Gli elettori che non ci votano sono infermi mentali"

Berlusconi: “Ddl Gentiloni rovina Mediaset e gli elettori che non ci votano sono infermi mentali”:
Il leader di Forza Italia: "La legge 'ammazza-Mediaset' farebbe sparire gli investimenti stranieri, ma non passerà"
A Palermo per sostenere il sindaco Cammarata: "se non lo confermano vanno ricoverati tutti"

Repubblica.it > Politica
L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni apre la consultazione

Segnalo il testo della delibera dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.

"Avvio di una consultazione pubblica sugli aspetti regolamentari relativi all’assetto della rete di accesso fissa ed alle prospettive delle reti di nuova generazione a larga banda"

Delibera n. 208/07/CONS

mercoledì, aprile 18, 2007

Segnalo il resoconto stenografico del seguito dell'audizione alla Commissione parlamentare di inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del Servizio sanitario nazionale del "Rettore dell'Università di Roma La Sapienza, prof. Renato Guarini"
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Riporto di seguito alcune mie considerazioni sul caso Telecom Italia
Il governo della rete è cruciale
per lo sviluppo del paese e la qualità della democrazia.


Il caso di Telecom Italia pone prepotentemente al centro dell’attenzione la questione del futuro delle telecomunicazioni in Italia. La vicenda riguarda in primo luogo la proprietà dell’azienda. Dopo la perdita dell’industria manifatturiera del settore, le offerte della statunitense At&T e della messicana American Movil per Telecom Italia, solo pochi giorni dopo le notizie sull’interesse di una società svizzera all’acquisto di Fastweb - altra importante azienda italiana di telecomunicazioni –, mostrano con evidenza la debolezza strutturale del sistema industriale nazionale e la sua incapacità a confrontarsi con le sfide della liberalizzazione e dell'innovazione del sistema globale. La vicenda di Telecom Italia preoccupa anche per altre ragioni. Per le dimensioni e la rilevanza dell’azienda nell’economia nazionale e per l’alto numero di addetti a rischio di un destino incerto. Ma, se possibile, ancora di più, perché Telecom Italia possiede il controllo sulla maggior parte delle infrastrutture delle telecomunicazioni italiane e, in particolare, possiede l’unica infrastruttura di rete a larga banda realmente generalista esistente in Italia. La rete a larga banda determina la possibilità di sviluppare i nuovi servizi e le nuove applicazioni, offerti dall’evoluzione dei sistemi di comunicazione e dalla convergenza tecnologica, e di esplodere le potenzialità del paradigma Internet. Consente il trasporto e la distribuzione di immensi flussi di informazione, e, insieme, l’accesso all’utente, con la garanzia di un’interattività di qualità elevata. Sta qui la questione tecnologicamente oggettiva, inesorabilmente connessa alla vicenda di Telecom Italia. Essa deve essere posta in quanto tale, nella sua interezza e nella totalità delle sue implicazioni, all’attenzione del paese, delle scelte industriali, degli orientamenti politici e di governo. La rete, nella rivoluzione tecnologica in corso, assume una nuova valenza strategica, di vero e proprio monopolio naturale. La sua disponibilità e la sua efficienza sono cruciali per collocare l’Italia al passo con gli altri paesi tecnologicamente avanzati e per consentire ai fornitori di servizi e a tutti i cittadini di accedere senza vincoli. E’ in gioco un presupposto essenziale per garantire lo sviluppo economico con l’emergere di nuovi soggetti. E’ in gioco il pluralismo dell’informazione e della comunicazione, insomma, una quota rilevante di democrazia. Per queste ragioni la vicenda di Telecom Italia, della sua proprietà, della sua mission, delle sue vocazioni industriali, travalica gli aspetti meramente aziendali e diventa questione di interesse del paese. Reca con sé un interrogativo ineludibile, che sarebbe pericolosissimo rinviare: come garantire che, nello scenario tecnologico attuale e futuro, il governo della rete sia esercitato nell’interesse generale? Due condizioni sono qualificanti: la realizzazione di un servizio universale, attraverso interventi di manutenzione, di ammodernamento continuo ed estensione geografica della rete per consentire a tutti i cittadini la possibilità di connettersi, riducendo progressivamente il digital divide; la neutralità della rete, a partire da pari opportunità di accesso e pari condizioni di costo e qualità di trasmissione a tutti gli operatori che vogliono entrare nel mercato dell’informazione, permettendo così una vera liberalizzazione dei servizi. E’ urgente aprire una discussione ampia e trasparente per giungere rapidamente a varare le scelte necessarie. Tre aspetti sono strategici. Il ruolo attivo del soggetto pubblico, senza il quale è difficile immaginare il perseguimento di un interesse generale. Una normativa adeguata che scongiuri il rischio del far west, dove si consoliderebbero inevitabilmente posizioni dominanti, come già è avvenuto anni fa, seppure in condizioni diverse, con l’ingresso di nuovi concessionari dei servizi televisivi. La separazione del soggetto che detiene la proprietà della rete a larga banda dai soggetti che la utilizzano per trasmettere contenuti e servizi, condizione indispensabile per la neutralità, specialmente nella prospettiva di un nuovo assetto proprietario di Telecom Italia. La questione, insomma, non può essere tradotta nel tema del rispetto dell’autonomia delle decisioni del Consiglio di Amministrazione di Telecom Italia. Riguarda il ruolo, la capacità competitiva e la qualità democratica del nostro paese nella società della conoscenza.

Gianni Orlandi
Ordinario di ICT Università di Roma “La Sapienza”
Presidente di AURIS onlus - Associazione Università Ricerca Innovazione Società

venerdì, marzo 23, 2007

Segnalo altri resoconti stenografici delle audizioni alla Commissione parlamentare di inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del Servizio sanitario nazionale del "Assessore alla Sanità della Regione Lazio, On. Augusto Battaglia", del "Rettore dell'Università di Roma La Sapienza, prof. Renato Guarini"


Mobilità sostenibile a impatto zero. Prospettive realistiche e ricadute sulle imprese italiane
E disponibile la registrazione del mio intervento al Convegno "Mobilità sostenibile a impatto zero. Prospettive realistiche e ricadute sulle imprese italiane", che si è svolto a Roma il 21 marzo 2007






mercoledì, marzo 07, 2007

Segnalo l'articolo "I sette peccati capitali di Internet (e le sue virtù)" di Stefano Rodotà su Repubblica del 6 marzo 2007
I sette peccati capitalidi Internet (e le sue virtù)
di STEFANO RODOTA'
Qual è il destino dei parlamenti nell'età dell'informazione e della comunicazione? Alcuni anni fa, quando cominciò il dibattito sulla democrazia elettronica, sembrava che le nuove tecnologie avrebbero portato ad una progressiva scomparsa della democrazia rappresentativa, sostituita da forme sempre più diffuse di democrazia diretta. Nel nuovo agorà elettronico i cittadini avrebbero potuto prendere sempre la parola e decidere su tutto. La memoria dell'antica Atene e il modello dei town meetings del New England apparivano come la forma nuova della democrazia, con un intreccio tra antico e nuovo che avrebbe via via cancellato il ruolo dei parlamenti. Oggi queste ipotesi sono lontane, e la democrazia elettronica segue strade diverse da quelle di una brutale e ingannevole semplificazione dei sistemi politici. Ma questo non vuol dire che i parlamenti possano trascurare le grandi novità determinate dalle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, che incidono profondamente sul loro ruolo e sul modo in cui si struttura il loro rapporto con la società. Non siamo di fronte a semplici strumenti tecnici, ma ad una forza potente, la tecnologia nel suo complesso, che sta trasformando in modo radicale le nostre società.
Stiamo passando, su scala mondiale, da un equilibrio tecnologico all'altro. Il primo, grande compito dei parlamenti, oggi, è dunque quello di cogliere questo momento, di compiere tempestivamente le scelte intelligenti necessarie perché l'insieme delle tecnologie si risolva in un rafforzamento complessivo della democrazia. Sono divenute chiare alcune linee di analisi e di intervento, che possono essere così riassunte: - evitare che le nuove tecnologie portino ad una concentrazione invece che ad una diffusione del potere sociale e politico; - evitare che le nuove tecnologie si consolidino come la forma del populismo del nostro tempo, con un continuo scivolamento verso la democrazia plebiscitaria. -evitare che ci si trovi sempre più di fronte a tecnologie del controllo invece che a tecnologie delle libertà; - evitare che nuove disuguaglianze si aggiungano a quelle esistenti; - evitare che il grande potenziale creativo delle nuove tecnologie porti non ad una diffusione della conoscenza, ma a forme insidiose di privatizzazione. Pure l'età digitale, dunque, ha i suoi peccati, sette come vuole la tradizione, e che sono stati così enumerati: 1) diseguaglianza; 2) sfruttamento commerciale e abusi informativi; 3) rischi per la privacy; 4) disintegrazione delle comunità; 5) plebisciti istantanei e dissoluzione della democrazia; 6) tirannia di chi controlla gli accessi; 7) perdita del valore del servizio pubblico e della responsabilità sociale. Non mancano, tuttavia, le virtù, prima tra tutte l'opportunità grandissima di dare voce a un numero sempre più largo di soggetti individuali e collettivi, di produrre e condividere la conoscenza, sì che ormai molti ritengono che la definizione che meglio descrive il nostro presente, e un futuro sempre più vicino, sia proprio quella di "società della conoscenza". Al di là delle immagini e delle metafore, i parlamenti non sono chiamati a scegliere tra il bene e il male. Di fronte ad una realtà complessa, nella quale convivono società della conoscenza e società del rischio, i parlamenti non sono chiamati scegliere tra bene e male. Devono ribadire la loro storica e insostituibile funzione di custodi della libertà e dell'eguaglianza. Non sono riferimenti retorici. La tecnologia è prodiga di promesse. Alla democrazia offre strumenti per combattere l'efficienza declinante, e arriva fino a proporne una rigenerazione. Ma, se guardiamo al mondo reale, alle tendenze in atto, rischiamo di incontrare sempre più spesso un uso delle tecnologie che rende capillare e continuo il controllo dei cittadini. A queste tendenze bisogna reagire, non solo per sfuggire ad una sorta di schizofrenia istituzionale che spinge verso la costruzione di un mondo diviso tra le speranze di libertà e l'insidia della sorveglianza. E' necessario soprattutto considerare realisticamente le dinamiche sociali, a cominciare da quelle che rischiano di produrre nuove diseguaglianze. Questo problema viene solitamente indicato con l'espressione digital divide, ed effettivamente l'uso delle tecnologie, di Internet in primo luogo, produce stratificazioni sociali, l'emergere di nuove categorie di haves e di have nots, di abbienti e non abbienti proprio per quanto riguarda la fondamentale risorsa dell'informazione. Ma le più attendibili ricerche sul digital divide mettono in evidenza che il divario tra paesi sviluppati e paesi meno sviluppati, per quanto riguarda l'accesso ad Internet, non può essere esaminato riferendosi prevalentemente alle differenze di reddito. Pur rimanendo profondissime, infatti, le distanze riguardanti Internet tendono a ridursi più rapidamente di quelle relative alla ricchezza. Questo vuol dire che i fattori influenti non sono tanto quelli economici, quanto piuttosto quelli sociali e culturali. Conoscenza è parola che sintetizza le possibilità di accedere alle fonti, di elaborare il materiale, raccolto, di diffondere liberamente le informazioni. Già nell'articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite si è affermato il diritto di ogni individuo alla libertà di opinione e di espressione "e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere". Oggi questo diritto è in pericolo per la pretesa di molti Stati di controllare Internet, per l'esercizio di veri poteri di censura, per le condanne di autori di quelle particolari comunicazioni in rete che sono i blog. Questa situazione non può essere ignorata, soprattutto perché alcune grandi società - Microsoft, Google, Yahoo!, Vodafone - hanno annunciato per la fine dell'anno la pubblicazione di una "Carta" per tutelare la libertà di espressione su Internet. I parlamenti non possono accettare che la garanzia del free speech, che gli Stati Uniti vollero affidare al Primo Emendamento della loro Costituzione, divenga materia di cui si occupano solo i privati, che evidentemente offriranno solo le garanzie compatibili con i loro interessi. Internet è il più grande spazio pubblico che l'umanità abbia conosciuto, dove si sta realizzando anche una grande redistribuzione di potere. Un luogo dove tutti possono prendere la parola, acquisire conoscenza, produrre idee e non solo informazioni, esercitare il diritto di critica, dialogare, partecipare alla vita comune, e costruire così un mondo diverso di cui tutti possano egualmente dirsi cittadini. Ma tutto questo può diventare più difficile, per non dire impossibile, se la conoscenza viene chiusa in recinti proprietari senza considerare proprio la novità della situazione che abbiamo di fronte e che impone di guardare alla conoscenza come il più importante tra i beni comuni. La questione dei beni comuni è essenziale. Parole nuove percorrono il mondo - open source, free software, no copyright - dando il senso di un cambiamento d'epoca. Oggi, infatti, il conflitto tra interessi proprietari e interessi collettivi non si svolge soltanto intorno a risorse scarse, in prospettiva sempre più drammaticamente scarse come l'acqua. Nella dimensione mondiale assistiamo ad una creazione incessante di nuovi beni, la conoscenza prima di tutto, rispetto ai quali la scarsità non è l'effetto di dati naturali, ma di politiche deliberate, di usi impropri del brevetto e del copyright, che stanno determinando un movimento di "chiusura" simile a quello che, in Inghilterra, portò alla recinzione delle terre comuni, prima liberamente accessibili. Questa scarsità artificiale, creata, rischia di privare milioni di persone di straordinarie possibilità di crescita individuale e collettiva, di partecipazione politica. La sfida lanciata ai parlamenti non riguarda soltanto la necessità di trovare nuovi equilibri tra logica della proprietà e logica dei beni comuni. Investe lo stesso modo d'intendere la cittadinanza. La vera novità democratica delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, infatti, non consiste nel dare ai cittadini l'ingannevole illusione di partecipare alle grandi decisioni attraverso referendum elettronici. Consiste nel potere dato a ciascuno e a tutti di servirsi della straordinaria ricchezza di materiali messa a disposizione dalle tecnologie per elaborare proposte, controllare i modi in cui viene esercitato il potere, organizzarsi nella società. Con questo vasto mondo - in cui la democrazia si manifesta in maniera "diretta", ma senza sovrapporsi a quella "rappresentativa" - i Parlamenti devono trovare nuove forme di comunicazione, attraverso consultazioni anche informali, messa in rete di proposte sulle quali si sollecita il giudizio dei cittadini, procedure che consentano di far giungere in parlamento proposte elaborate da gruppi ai quali, poi, vengano riconosciute anche possibilità di intervento nel processo legislativo. La rigida contrapposizione tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta potrebbe così essere superata, e la stessa democrazia parlamentare riceverebbe nuova legittimazione dal suo presentarsi come interlocutore continuo della società. In questa prospettiva, i parlamenti debbono soprattutto impedire che le esigenze di lotta a terrorismo e criminalità e le richieste del sistema economico portino alla nascita di una società della sorveglianza, della selezione e del controllo, alterando quel carattere democratico dei sistemi politici di cui proprio i parlamenti sono i primi ed essenziali garanti. Proprio le tecnologie, con la loro apparente neutralità, hanno rafforzato le spinte verso la creazione di gigantesche raccolte di dati personali. La politica sta delegando alla tecnica la gestione dei più diversi aspetti della società, dimenticando, ad esempio, un principio chiaramente indicato nell'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. In questa norma si ammettono limitazioni dei diritti per diverse finalità, compresa la sicurezza nazionale, a condizione però che si tratti di misure compatibili con le caratteristiche di una società democratica. I parlamenti devono esercitare con il massimo rigore questa funzione di controllo, senza delegarla ad altri organi dello Stato, fossero pure le corti costituzionali. Solo così possono evitare la trasformazione dei cittadini in sospetti, ed impedire che, con l'argomento della difesa della democrazia, sia proprio la democrazia ad essere perduta.
Questo è il discorso che Stefano Rodotà ha tenuto a Montecitorio per l'apertura della Conferenza internazionale dell'Unione interparlamentare
(6 marzo 2007)