domenica, marzo 13, 2011

“L’ECLISSE DEI PROFESSORI-MAESTRI UMILIATI DA UNA SCUOLA CHE NON LI AMA”

di Tullio Gregory

Nel dibattito che periodicamente e stancamente si apre sulla scuola, sempre in occasione di eventi che la coinvolgono solo in modo occasionale (come le stupefacenti esternazioni del presidente del Consiglio sulla scuola pubblica), vi è un grande assente: la figura del maestro, del professore (non amo il temine docente, generico e di matrice politico-sindacale). Relegato da tempo ai margini dei discorsi sulla scuola e delle sempre meno felici «riforme» , umiliato dal trattamento economico tra i più bassi in Europa e in Italia, anche comparativamente ad altre categorie del pubblico impiego (basti un confronto con le retribuzioni di gran lunga superiori dei commessi del Parlamento o degli impiegati delle varie Autorità), è diventato un «prestatore di servizi» di fronte alla «utenza» (alunni e famiglie) che, organizzata in «consigli di classe» , rivendica il «diritto al successo scolastico» e ad attività alternative (pomposamente chiamate «offerta formativa» ) e vede quasi sempre nel professore il colpevole dell’insuccesso di alunni svogliati. Parliamo di scuola pubblica, perché la privata risponde ad altre logiche ed è per sua natura protettiva. L’eclisse dei maestri, dei professori coincide con il tramonto dell’idea di scuola come luogo di formazione, quindi di studio severo e di salutare selezione. Luogo di apprendimento di saperi, dove l’insegnante comunica ai giovani una cultura che è fatta di testi, di letture, di date e dati, di esercizi di memoria, presupposti di ogni capacità argomentativa e scrittoria. Quindi luogo di lavoro, di interrogazioni, di esami, e insieme di promozione sociale e di educazione civile. Invece si è scambiata la scuola democratica con la scuola facile, la scuola aperta a tutti con quella che promuove tutti. Della progressiva erosione della scuola pubblica — non solo nell’opinione comune ma persino nelle sue strutture didattiche ed edilizie — gli insegnanti sono stati le prime vittime: parliamo qui delle elementari, delle secondarie di primo e secondo grado, non dell’università— sulla quale si dovrà fare altro ragionamento — soprattutto perché è nel corso scolastico sino alla maturità che avviene la vera formazione del giovane, quando l’insegnante esercita un’influenza di grande incisività e diviene spesso maestro di vita. Giunto all’università, lo studente può essere avviato alla ricerca scientifica o all’esercizio di professioni, ma la sua formazione di base è ormai compiuta. — tanto i mezzi di comunicazione, quanto le famiglie, hanno fortemente contribuito all’indebolimento della figura dell’insegnante: la stampa, la radio, la televisione sono più attente a manifestazioni di piazza, magari agli esiti degli esami di maturità che all’efficienza delle strutture didattiche, alla validità dei programmi di insegnamento. Le famiglie, con i loro rappresentanti, sono prevalentemente impegnate a «difendere» i propri figli, considerando la scuola una zona di parcheggio che non deve creare problemi: quindi non importa che l’insegnante sia preparato, l’importante è che non sia severo, non dia troppi compiti a casa, soprattutto non per il lunedì perché il fine settimana deve essere dedicato non allo studio, ma ad affannate corse in campagna o al mare; non deve dare compiti per le vacanze perché i ragazzi si debbono riposare. Soprattutto l’insegnante non deve dare valutazioni negative, perché il ragazzo è sempre bravo e studioso, magari psicologicamente fragile (come son pronti a certificare). Peraltro, ove fosse bocciato, si è ormai aperta e praticata la via del ricorso al Tar che spesso interviene con sospensive che fanno oscillare per mesi il ragazzo da una classe superiore ad una inferiore. La pedagogia «progressista» — tanto cattolica quanto laica — ha distrutto il rapporto tra insegnante e studente fondato sulla competenza del primo e il bisogno di formazione del secondo; ha considerato ogni forma di valutazione una prevaricazione, ha difeso il diritto dell’alunno all’ignoranza: questo il risultato della lotta al nozionismo, come se il sapere non fosse fatto di nozioni che costituiscono la cultura, e della critica radicale di ogni insegnamento normativo non solo per la scrittura in lingua italiana ma anche per il corretto comportamento rispetto alla scuola e all’insegnante. Si aggiungano i tagli del bilancio ministeriale che hanno contribuito potentemente all’indebolimento della scuola pubblica, con una drastica riduzione degli organici (87.400 posti in meno dal 2009; 19.700 nel solo anno 2011-2012): si costituiscono classi sovraffollate, gli insegnanti sono obbligati a correre da una scuola all’altra mentre diminuiscono drasticamente le ore di insegnamento; si aboliscono insegnanti di sostegno, si ignorano i nuovi problemi posti dalla forte presenza di immigrati. Diminuiscono anche i dirigenti scolastici dai quali spesso dipende la tenuta e il livello della scuola: molti ormai i facenti funzioni impegnati in più Istituti, vittime di inutili incombenze burocratiche e di estenuanti riunioni assembleari. Frattanto da anni non si bandiscono concorsi che costituiscono l’unico vero filtro selettivo per accedere all’insegnamento e si fa aumentare a dismisura il numero dei precari. L’insegnante è abbandonato a se stesso; dimenticata la sua fondamentale importanza nella formazione dei giovani, emarginato da ogni serio dibattito sulla scuola, non meraviglia se aumentano le richieste di pensionamento anticipato: la fuga non è solo dei cervelli fuori dall’Italia, ma dalle nostre scuole per ritrovare forse qualche serenità in una normale vita di studio e di affetti.

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