domenica, novembre 02, 2008

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Chiamatemi Barone

di Ilvo Diamanti

Bussole - Repubblica.it, 31 ottobre 2008

“Chiamatemi Barone. L’ho detto a mia moglie, ieri sera, dopo aver sentito ripetere questa definizione almeno una decina di volte, in tivù, nei salotti dove si discute delle sorti dell’umanità. Da Vespa e da Mentana. Da Floris e da Santoro. Ospiti: la variegata tribù di lotta e di governo, che si affolla intorno e dentro l’Università. Studenti pro e contro, manifestanti di sinistra e di destra, agitatori e agitati, rumoreggianti e silenziosi. Occupanti e occupati. Poi, filo-ministeriali e oppositori democratici. Infine, professori. Pardon: ‘baroni’. Perché ormai è dato per scontato: i professori universitari sono ‘baroni’. Tutti. Reclutati in base a criteri clientelari, attraverso concorsi-truffa, che a loro volta provvedono, puntualmente, a riprodurre. Reclutando, a loro volta, ricercatori e professori in base a logiche di fedeltà. Schiavi e servi della gleba, che, dopo secoli di precarietà, un contratto oggi, una borsa domani, un dottorato e un post-dottorato dopodomani, giungono, alla fine, stremati, all’auspicato posto fisso. Per fare i ricercatori fino a diventare professori. Naturalmente ‘per anzianità’ (così si dice). Senza rispetto per il merito e per la produzione scientifica, didattica e organizzativa. ‘Baroni’, appunto. I veri colpevoli del dissesto dell’Università italiana. Del degrado del sapere nazionale. Dell’ignoranza che regna fra i giovani. E, anzitutto, del disastro finanziario. Del deficit crescente di risorse. Provocato non tanto dai tagli di questo governo e da quelli precedenti, ma da loro (da noi): i baroni. Che prendono lo stipendio senza fare nulla. (Soggiogateli ai tornelli!). Incapaci di gestire le università. Colpevoli della moltiplicazione dei corsi e delle sedi, dovunque. Le università telematiche e quelle tascabili, fuori porta. Che promettono e permettono la conquista del titolo di dottore a tutti. Giornalisti, carabinieri, poliziotti, infermieri. Volontari e involontari. Perfino i politici. Beneficiati da un monte-crediti formativi tale da permettere loro di laurearsi in pochi mesi, con pochi esami. Dottori in Scienze della futilità. Questi ‘baroni’: fannulloni, perfidi e manovratori. Capaci di manipolare gli studenti. Di farli scendere in piazza insieme a loro, per loro, con loro. Invece che ‘contro’ di loro.

Tutti baroni. Tutti. Inutile eccepire … Inutile osservare che tu, io, lui, noi - alcuni, magari molti - lavoriamo e insegniamo in modo assiduo e regolare, facciamo ricerca, pubblichiamo libri e saggi, perfino su riviste internazionali (un’aggravante: dove troviamo il tempo per fare tutte queste cose? Per scrivere e per studiare? Partecipare a convegni in Italia e addirittura all’estero?). Per sostenere le nostre attività, cerchiamo - e qualche volta troviamo - finanziamenti. Non solo pubblici: perfino privati. Le eccezioni non contano. Sono conferme alla regola. Inutile osservare che se ci fosse un sistema di reclutamento e di valutazione universalista, criteri di finanziamento fondati su parametri ‘misurabili’ di qualità e quantità … Inutile. Perché tutto ciò non c’è. E se non c’è, inutile prendersela con il legislatore. La colpa è dei ‘baroni’. D’altronde, quanti baroni infiltrati in Parlamento e perfino nel governo… Insomma, è inutile entrare nel merito, precisare. Quando da ‘professori’ si diventa ‘baroni’ le distinzioni cessano di avere rilievo e significato. Suggerirle, evidenziarle: è perfino fastidioso. Perché possiamo differenziare i professori, i quali possono essere bravi, capaci, laboriosi, prestigiosi, oppure fancazzisti, ignoranti peggio degli studenti, arroganti, fannulloni nullafacenti e nullapensanti. Ma i ‘baroni’ no. Perché traducono fenomenicamente una categoria sostanziale: la ‘baronità’. Per cui i baroni sono i signori oscuri di una terra oscura. Avvolta nelle nebbie. Anche la semantica, d’altronde, condanna e stigmatizza la categoria. Ridotta a una variante della ‘casta’. Definizione usata, fino a qualche mese fa, per catalogare (e insultare) i politici. Ora, invece, lo stesso termine è applicato con analogo disprezzo, ai professori dell’università. La casta dei baroni. Titolari di privilegi ereditati ed ereditari. Dotati di un potere arbitrario. Un ceto ‘nobiliare’, appunto.

L’ho rammentato a mia moglie, come scrivevo all’inizio di questa ‘bussola’ un po’ scombussolata. Da oggi io sono un Barone. E lei, di conseguenza, una Baronessa. Intanto, i Baronetti - ignari di essere divenuti tali - se ne stavano nelle loro stanze, intenti a studiare.

Chissà che invidia il Presidente del Consiglio. Lui, con i suoi successi, riconosciuti da tutti: soltanto Cavaliere.”

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