venerdì, settembre 12, 2008

venerdì 3 settembre 2008
La lettera di Marco Balsi è molto importante perché pone l'attenzione ad un tema di grande rilievo etico, come la collocazione netta ed inequivocabile della nostra università nell'impegno coerente per la pace. A suo tempo, quando ero Pro Rettore, ho sempre sostenuto tale impostazione e, in particolare, l’esplicita esclusione dei fini bellici nell’utilizzazione dell’attività di ricerca da noi sviluppata.
La scomparsa dello specifico comma, che era contenuto nello schema-tipo di contratto di ricerca in conto terzi della nostra Università, approvato dagli organi accademici, è senz’altro molto preoccupante, in quanto sembrerebbe prefigurare una sottovalutazione, se non un cambiamento di atteggiamento, avvenuto negli ultimi tempi, nei confronti della questione.
C’è da evidenziare, inoltre, che sia l’atto di indirizzo che il Regolamento per il conto terzi, tuttora vigenti, continuano a prevedere esplicitamente tale esclusione (rispettivamente all’art. 14 e all’art. 3, punto h). Quindi, l’esclusione del comma nella bozza di contratto violerebbe anche tali norme interne della Sapienza.
Se dovessi diventare Rettore, ovviamente porrei la massima attenzione al rispetto di tale esclusione e ad una corretta e coerente stesura di tutti gli atti amministrativi di interesse. Credo, in proposito, che tale tema, e più in generale, tutta la problematica dei risvolti etici della ricerca, dovrebbe essere posta all’attenzione e al dibattito degli organi accademici e di tutta la comunità accademica per una chiara e forte presa di posizione, realizzando specifici momenti dedicati nella Sapienza, anche aperti ai giovani e ai cittadini, e costruendo apposite sedi per mantenere continua l’attenzione.
L’università, e la Sapienza per prima come più grande università europea, può e deve tornare a svolgere un ruolo di sensibilizzazione e di orientamento culturale nel paese e di formazione nei confronti dei giovani, su argomenti di tale portata, tornando a segnare in modo inequivocabile la ricerca universitaria come ricerca finalizzata alla pace, alla difesa dell’ambiente e al progresso dell’umanità.

3 settembre 2008
Gianni Orlandi
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LETTERA APERTA AI CANDIDATI RETTORI DELL’UNIVERSITÀ “LA SAPIENZA” SULLA RICERCA DI INTERESSE MILITARE
Roma, 31 agosto 2008
Sono un ricercatore del Dipartimento di Ingegneria Elettronica dell’Università “La Sapienza”. Mi rivolgo a voi candidati alla carica di Rettore della nostra Università, per sottoporvi una questione che mi sta a cuore e che mi sembra di notevole importanza etica e sociale, allo scopo di conoscere come intendete, se eletti, orientarvi rispetto alle attività di ricerca di diretto interesse militare svolte dai nostri dipartimenti. Personalmente sono a conoscenza del fatto che nell’ambito del mio Dipartimento vengono svolte attività di ricerca in conto terzi attraverso contratti con le società Rheinmetall, MBDA, Elettronica s.p.a. Preferisco parlare solo di cose di cui ho notizia diretta e certa, ma è molto probabile che altre attività del genere siano svolte nell’ambito della nostra Università. Le società citate sono attive nella realizzazione di armi, le prime due direttamente di armi di offesa, la terza di sistemi di protezione di sistemi d’arma (1). Come noto anche da atti degli organi di governo dell’Università, Rheinmetall ha recentemente finanziato un posto di ricercatore di ruolo, operazione tecnicamente equivalente ad una donazione, ma difficilmente attribuibile a puro mecenatismo. Non sono purtroppo capace di ricostruire quale sia l’origine di un comma che fino a poco tempo era contenuto nello schema-tipo di contratto di ricerca in conto terzi della nostra Università e che recitava: “Le parti, inoltre, si impegnano a non utilizzare i risultati ottenuti per fini bellici”. Questa frase è oggi scomparsa dal modello (http://www.uniroma1.it/ricerca/esterno/formatcon.php). Il fatto che per molti anni sia stato prescritto che i contratti che firmavamo contenessero questo impegno è comunque segno che in passato esisteva una decisione degli organi centrali de “La Sapienza” di non collaborare allo sviluppo di armi e strumenti di guerra. Anche quando esisteva, sono testimone del fatto che questo impegno veniva costantemente disatteso, dichiarando quanto sopra citato nei rapporti con aziende, come quelle citate, che non fanno nulla che non abbia fini “bellici”, come con altre (in particolare quelle del gruppo Finmeccanica) per le quali è quasi impossibile capire le finalità di una specifica ricerca, perché realizzano sistemi di interesse sia militare che civile. Mi sembra importante che la nostra Università faccia una chiara scelta etica di astensione dal collaborare alla progettazione e realizzazione di armamenti, specialmente quando si tratta armi così odiose come le bombe cluster. Mi è stato in varie occasioni obiettato che rifiutando di collaborare con aziende che producono armi si rende più difficile alle stesse sviluppare linee di progettazione e produzione di tipo civile che potrebbero dare un’alternativa praticabile anche in termini di occupazione. Mi sembra evidente che un progetto di ricerca che fosse orientato alla riconversione di un’azienda di questo genere sarebbe da sostenere con tutto l’impegno di cui siamo capaci. Nei dodici anni passati in questa facoltà come ricercatore di ruolo non sono ancora stato testimone di una sola proposta reale in tal senso. Mi permetto di citare un breve brano dal libro “Pappagalli verdi”, di Gino Strada. “La mina non scoppia subito, spesso non si attiva se la si calpesta. Ci vuole un po' di tempo - funziona, come dicono i manuali, per accumulo successivo di pressione. Bisogna prenderla, maneggiarla ripetutamente, schiacciarne le ali. Chi la raccoglie, insomma, può portarsela a casa, mostrarla nel cortile agli amici incuriositi, che se la passano di mano in mano, ci giocano. Poi esploderà. E qualcun altro farà la fine di Khalil. Così abbiamo immaginato - sapendo che era tutto maledettamente vero - un ingegnere efficiente e creativo, seduto alla scrivania a fare bozzetti, a disegnare la forma della PFM-1. E poi un chimico, a decidere i dettagli tecnici del meccanismo esplosivo, e infine un generale compiaciuto del progetto, e un politico che lo approva, e operai in un'officina che ne producono a migliaia, ogni giorno. Non sono fantasmi, purtroppo, sono esseri umani: hanno una faccia come la nostra, una famiglia come l'abbiamo noi, dei figli, E probabilmente li accompagnano a scuola la mattina, li prendono per mano mentre attraversano la strada, ché non vadano nei pericoli, li ammoniscono a non farsi avvicinare da estranei, a non accettare caramelle o giocattoli da sconosciuti ... Poi se ne vanno in ufficio, a riprendere diligentemente il proprio lavoro, per essere sicuri che le mine funzionino a dovere. [...] Più bambini mutilati e ciechi, più il nemico è sconfitto, punito, umiliato.” Che questo non accada nella nostra Università. Spero che vorrete prendere un impegno in questo senso. Purtroppo non potrò essere presente all’incontro dell’8 settembre, in quanto quello stesso giorno devo presentare una relazione ad un congresso a Ginevra, ma affido al forum queste mie riflessione, sperando di vedere prese di posizione convincenti.
Cordialmente,
Marco Balsi ricercatore Dipartimento di Ingegneria Elettronica
(1) - Rheinmetall Italia s.p.a. (http://www.rheinmetall.it/ ), già Oerlikon Contraves. “Rheinmetall Defence stands for longstanding experience and pioneering innovation in the world of armoured vehicles, weapons and ammunition, air defence and electronics” (http://www.rheinmetall-detec.de/index.php?fid=766&lang=3 Titolare di brevetto US 4,524,694 per le bombe a grappolo (cluster bombs), produce in particolare il tipo M85, molto diffuso. Non dichiara alcun tipo di produzione di tipo civile.
- MBDA, “società leader a livello mondiale nei sistemi missilistici” (http://www.mbda-systems.com/mbda/site/ref/scripts/IT_At-a-glance_33.html). Produce in particolare il vettore SCALP utilizzato anche per testate nucleari. Non dichiara alcun tipo di produzione di tipo civile.
- Elettronica s.p.a. (http://www.elt-roma.com/) , “excellence in electronic warfare”, produce sistemi di “difesa elettronica”, destinati peraltro alla difesa di strumenti di offesa. Non dichiara alcun tipo di produzione di tipo civile.

1 commento:

Edmondo ha detto...

Professore, le segnalo che la lettera di Balsi e la sua risposta sono state pubblicate sul sito di Peacelink. Su questa pagina.